Non solo Rajoy e Puigdemont. Nello scontro frontale tra Madrid e Barcellona sull’indipendenza catalana socialisti e Podemos si trovano in una posizione particolarmente delicata.

L’autunno caldo della Catalogna non sembra destinato a spegnersi. Dal giorno del referendum a oggi, passando per l’indipendenza catalana formalmente annunciata e poi immediatamente congelata dal presidente della Generalitat de Catalunya Carles Puigdemont lo scorso 10 ottobre, la questione catalana si è imposta come tema centrale nella politica spagnola, coinvolgendo tutti i partiti da destra a sinistra. Si è assistito in particolare a una serie di prese di posizione molto nette di Puigdemont stesso e del presidente del Governo Mariano Rajoy, cui però non sono ancora seguite, ad oggi, decisioni drastiche.

Questo bipolarismo apparente ha favorito una narrazione mediatica piuttosto semplicistica della vicenda catalana: il pubblico del resto di Spagna e d’Europa, anche grazie alle dichiarazioni di alcuni volti noti di sport e spettacolo, è stato implicitamente invitato a parteggiare per questo o quello schieramento grazie alla descrizione di un Paese spaccato in due. La polarizzazione del dibattito pubblico ha portato a credere – soprattutto all’estero – che con la linea dura di Mariano Rajoy da una parte e con l’indipendentismo ora rivoluzionario e ora borghese di Carles Puigdemont dall’altra si esaurissero le opzioni a disposizione degli spagnoli.

È curioso sottolineare che se Rajoy e Puigdemont si sentissero cittadini dello stesso Paese si troverebbero probabilmente dalla stessa parte della barricata, nell’alveo di quel centro-destra liberalpopolare variamente declinato cui appartengono sia il Partito Popolare (PP) del Presidente del Governo, sia il Partito Democratico Europeo Catalano (PDeCAT) del Presidente della Generalitat. Provando a rifiutare una visione manichea dei fatti, una domanda sorge allora spontanea, almeno a chi crede ancora in distinzioni politiche dal sapore antico: in tutto questo dove sta la sinistra spagnola?

Inquadrando le cose in questa prospettiva, la questione è intricata perché coinvolge due partiti a vocazione nazionale di primo piano che per motivi diversi rischiano di perdere credibilità in seguito alle vicende delle scorse settimane: lo storico Partito Socialista Operaio Spagnolo (PSOE) e il giovanissimo partito-movimento Podemos, guidato da Pablo Iglesias.

Il PSOE di Pedro Sánchez vive ormai da anni il peggior momento della sua storia e ha toccato il fondo alle elezioni generali dello scorso anno, portando al Congresso il minor numero di deputati (85 su 350) dalla fine della dittatura franchista. Riveste tuttavia un ruolo fondamentale nello scacchiere politico spagnolo: con l’astensione di oltre tre quarti dei suoi deputati, infatti, garantisce la sopravvivenza del governo di minoranza di Rajoy. La questione catalana è l’ennesimo duro colpo per i socialisti. La fermezza di Rajoy sfociata negli scontri tra polizia spagnola e cittadini catalani in occasione del referendum del 1° ottobre ha suscitato vibranti critiche anche all’interno del fronte unionista, soprattutto da parte degli elettori del PSOE, ma la posizione dei vertici del partito non è stata altrettanto chiara.

Sánchez non si è schierato apertamente a favore dell’applicazione dell’articolo 155 della Costituzione, che prevede la sospensione dell’autonomia catalana, ma non ha nemmeno avallato la mozione di sfiducia contro Rajoy promossa da Podemos. Il PSOE si trova entre la espada y la pared direbbero loro, tra l’incudine e il martello diremmo noi.

Sostenendo apertamente Rajoy sulla questione catalana, infatti, i socialisti diventerebbero agli occhi del loro elettorato più spostato a sinistra il braccio destro di un governo ritenuto apertamente autoritario e che è già stato difficile sorreggere in questo primo anno di legislatura.

Sostenendo Iglesias, tuttavia, in un colpo solo sarebbero ritenuti responsabili di una crisi di governo in un momento così delicato per il Paese e di pericolose commistioni con un partito il cui atteggiamento in merito all’indipendenza catalana è stato e resta parecchio ondivago.

Insomma, una lose-lose situation della quale Sánchez avrebbe volentieri fatto a meno e che è imputabile soprattutto al rifiuto di ogni dialogo da parte di Rajoy. Il sostegno critico che finora ha caratterizzato l’azione del PSOE si esprime nella formula «non con il PP, ma con il governo», coniata dalla portavoce socialista al Congresso Soraya Rodríguez. Nascondersi dietro a formule nebulose, però, non sembra più essere un’opzione perseguibile per limitare i danni, anzi rischia di corroborare l’immagine di un partito sempre più in balia degli eventi e sempre meno in grado di governarli.

Se la storica sinistra istituzionale piange, quella (cosiddetta) radicale non ride.

Podemos è nato appena tre anni fa, ma è già la terza forza politica spagnola. Ha partecipato alle elezioni del 2016 con un insieme di liste – tra le quali En Comú Podem, coalizione che comprende la sezione catalana di Podemos –, che hanno superato globalmente i cinque milioni di voti. L’anno precedente, in occasione delle elezioni catalane, il partito di Iglesias si è presentato con la coalizione Catalunya Sí que es Pot (“Catalogna Sì è Possibile”), che si trova ora all’opposizione del presidente Puigdemont nel Parlamento catalano. Podemos ha sempre sostenuto un progetto federalista in grado di valorizzare ed eventualmente ampliare il potere delle comunità autonome spagnole, opponendosi però – pur blandamente – a un’indipendenza catalana tout court.

Pur trovandosi all’opposizione nel Parlamento della Generalitat, è una forza tutt’altro che ininfluente in Catalogna. Ada Colau, sindaco di Barcellona, è stata infatti eletta con la piattaforma civica Barcelona en Comú, supportata da Podemos. La Colau si è distinta nello scorso mese per la decisione di non mettere gli edifici comunali a disposizione degli elettori per il referendum del 1° ottobre.

Sul versante opposto, il leader Pablo Iglesias si è schierato fin dallo scorso maggio a favore della realizzazione del referendum indipendentista – pur restando, lo ribadiamo, contrario all’indipendenza catalana –, annunciando che il suo partito si sarebbe opposto a «qualsiasi attacco ai diritti di riunione e di manifestazione».

Anche in seno alla nuova sinistra, quindi, si sono verificate le prime fratture interne proprio a causa della difficile gestione della questione catalana. Le critiche rivolte da una parte degli elettori all’ambiguità di Podemos ricordano, con le dovute differenze, le accuse subite da Jeremy Corbyn in occasione del referendum sulla Brexit: troppo blando il sostegno al remain del leader laburista allora, troppo blando quello alla causa unionista di Iglesias oggi.

«Grande è la confusione sotto il cielo, la situazione è eccellente», diceva Mao Zedong. Forse questo paradosso indica la strada da seguire alla sinistra spagnola, che può ora approfittare dell’ossessione dei media per il braccio di ferro tra Rajoy e Puigdemont per affrontare e superare con serenità i propri problemi interni e poi tornare alla ribalta politica, magari unita, magari vincente.

Davide Saracino

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