La Turchia che conosciamo oggi, soprattutto quella post-referendum, è uno Stato a soqquadro. Il presidente Erdoğan ha preso in mano la Costituzione e l’ha gestita a suo piacimento. Molte testate giornalistiche parlano di “nuovo sultanato”, altre di una vera e propria dittatura.
Ma la situazione politica e sociale in Turchia non è stata sempre così, la storia ci mostra come un tempo la Turchia fosse uno Stato aperto e democratico. Le riforme vigenti erano pari a quelle che venivano emanate negli Stati europei. Tutto ciò è stato possibile grazie a una delle più grandi personalità della storia contemporanea, Mustafa Kemal Atatürk.
Atatürk nasce a Salonicco, sotto l’Impero Ottomano, è un ragazzo modello, sveglio, cresciuto in una famiglia moderna. Entra da giovanissimo nella scuola militare e qui inizia a far parte del Movimento Nazionalista dei Giovani Turchi contro il governo dell’allora sultano Abdul Hamid II, per poi diventare membro del Comitato dell’Unione e Progresso. Nel 1908 il sultano abdica a favore del fratello Mehmet V ristabilendo la Costituzione (che — promulgata in passato — era stata sospesa per poter continuare la guerra contro l’Impero Russo). Pur ristabilendo la Costituzione, la situazione è ancora critica, e nel 1911 l’Italia invade la Libia (allora un territorio ottomano). Gli unionisti – tra cui un giovane Atatürk – combattono per ricacciare gli italiani, inutilmente. Questa campagna è un grande passo per Kemal, il quale inizia a farsi conoscere in ambito politico.
Durante la prima guerra mondiale l’Impero Ottomano si schiera dalla parte della Triplice Alleanza, la cui organizzazione militare è interamente in mano ai tedeschi. Tra i tanti soldati spicca l’ufficiale Mustafa Kemal, il quale riesce, nello stretto dei Dardanelli, a regalare all’Impero l’unica vittoria di tutta la guerra. Grazie a questa vittoria, sarà insignito del titolo di Pascià.
Nel dopoguerra, la penisola anatolica è sotto stretta sorveglianza degli imperi vincitori, tra cui Francia, Italia ma soprattutto Inghilterra. Tutto ciò fomenta la rabbia dei gruppi nazionalisti, i quali, comandati da Mustafa Kemal, danno inizio alla resistenza, spinta dal documento pro-indipendenza dove si denunciava l’incompetenza di un governo – ormai fantoccio – e richiedeva «la costituzione di un comitato nazionale libero da ogni tipo di pressione e di controllo».
Nel contempo la Grecia, con il benestare dell’Inghilterra, cerca di conquistare i territori turchi, contro Kemal. Le evenienze vanno incontro all’eroe di Dardanelli il quale, ad Ankara, riorganizza l’esercito e dà vita a un governo ribelle sostenuto da un’assemblea nazionale, di cui Atatürk diventa presidente.
Nel frattempo, nel 1920 a Sèvres il sultano firma un trattato deleterio per la Turchia. Kemal non riconosce il trattato e dopo la presa di posizione ricaccia i greci dalla penisola anatolica, facendo pressione sullo spirito dei turchi e dando la possibilità alle donne di lavorare e sostenere la patria.
L’Inghilterra si arrende, non sostiene più la Grecia e Atatürk entra a Costantinopoli, il sultano viene esiliato e il governo si insedia nella capitale. A Losanna, la Turchia viene riconosciuta come uno Stato indipendente. Inizia l’ascesa di Atatürk.
Il 29 ottobre 1923 la Turchia diventa una repubblica, la nuova capitale è Ankara. Il presidente prende in mano la situazione, stabilisce l’ordine e detta gli obiettivi del suo programma: una Turchia moderna, all’avanguardia, libera e indipendente dalle potenze europee. Abolisce il califfato, la sharia e reprime le rivolte islamiche estremiste, la religione e la politica vengono distaccate, successivamente anche l’Islam verrà abolita come religione di Stato.
Uno degli obiettivi più ambiti da Atatürk, però, è quello di trasformare la cultura turca e allontanarla dai tradizionali dogmi. Le riforme passano tra arte, cultura, moda e abitudini quotidiane. Vengono introdotti i cognomi e nuove lettere latine vengono utilizzate per sostituire quelle arabe; i “nuovi” turchi non possono indossare il tradizionale copricapo turco, la fez, e per le cariche pubbliche si ricerca negli uomini la moda europea, con la giacca e senza barba. Le donne hanno pari diritti, viene abolita la poligamia e il velo, in seguito potranno anche votare.
Porre le basi per una futura democrazia, era questo l’obiettivo finale di Kemal Atatürk: «Non ho mai parlato contro la democrazia come fa Mussolini, è vero semmai esattamente l’opposto! Noi dichiariamo in ogni occasione che la democrazia è il nostro ideale».
Nel 1938 Atatürk lascia una Turchia nuova, moderna e filo-occidentale, aperta al mondo e avversa alla religione. Nel 2017 il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdoğan, indice un referendum costituzionale e pone i primi passi per un ritorno alle origini, la società turca si appresta ad andare incontro a dogmi tradizionalisti e religiosi.
L’ultima decisione autoritaria post referendum del governo di Erdoğan è stata quella di abolire Wikipedia, la piattaforma online è stata infatti oscurata nei giorni precedenti in tutto lo Stato turco. La motivazione non ben è chiara, Turkey Blocks parla di decisioni amministrative, secondo la televisione nazionale turca la censura è stata decisa a causa delle illazioni che si trovavano sull’enciclopedia online secondo le quali la Turchia avesse uno stretto rapporto con le organizzazioni terroristiche.
Una scusante ai più, che però inserisce un altro tassello nel muro dittatoriale che Erdoğan sta erigendo tra la Turchia e l’Europa; la possibilità di informarsi e di avere una propria libertà di pensiero sta, con il passare del tempo, via via cancellando le gloriose vittorie sociali di Atatürk, ma ciò non sembra destare fastidio alla maggioranza della popolazione turca e, con un nuovo califfato islamico alle porte, l’Europa si ferma a osservare in silenzio.
Nicola Capussela