Sono passati quasi due anni da quel 9 novembre 2014, giorno in cui i cittadini della Catalogna furono chiamati a votare – simbolicamente – per esprimersi a favore o contro l’indipendenza. Ora, la Catalogna torna a far parlare di sé per i suoi afflati indipendentisti: il presidente della Generalitat catalana, Carles Puigdemont, ha annunciato un nuovo referendum per il prossimo settembre 2017.
«Nel giugno 2017 la Catalogna sarà pronta per la disconnessione dallo stato spagnolo», afferma il presidente di fronte al parlamento di Barcellona, aggiungendo che il referendum si terrà nel settembre successivo. Puigdemont è a capo della coalizione Junts pel sí, che comprende diversi partiti a favore dell’indipendenza e che governa grazie al fondamentale appoggio del partito radicale Cup (Candidatura d’Unità Popolare). Quando nel gennaio 2016 è stato eletto presidente della Catalogna, ha affermato che avrebbe portato la sua terra all’indipendenza nell’arco di diciotto mesi. E ora tiene fede alla sua promessa. L’opposizione di Madrid, che da sempre cerca di porre freno alle spinte secessioniste, non lo spaventa: «Se sarà possibile trovare un accordo con Madrid, tanto meglio. Altrimenti, Barcellona andrà avanti comunque con una formula unilaterale», si legge sul sito dell’Ansa.
Anche questa volta, quindi, la storia si ripete. Anche se si tratta di una storia recente. L’indipendentismo catalano, infatti, è un fenomeno di lunga durata, costellato di rappresaglie e insurrezioni contro il governo centrale, ma diventa un movimento di massa soltanto a partire dal 2010, in coincidenza con l’acuirsi della crisi spagnola. La Catalogna, infatti, è sempre stata una regione con una propria storia, una propria cultura, addirittura una propria lingua. Ma negli anni è stata costretta a dialogare col governo centrale e a mettere da parte le proprie differenze. È proprio questo il nodo che adesso vuole recidere: quello che lo lega ad un governo considerato un freno per il proprio sviluppo autonomo.
Due anni fa, quando il referendum del 9 novembre fu portato avanti anche con la “sconfessione” di Madrid, le richieste furono due: concedere lo status di nazione e l’indipendenza alla Catalogna. Oggi, seppur il presidente catalano non abbia rivelato i dettagli, l’obiettivo rimane lo stesso: «Vogliamo ottenere la piena sovranità nazionale», si legge sul sito della coalizione Junts pel sí, «Vogliamo avere gli strumenti di uno Stato per porli al servizio dei cittadini, creare un senso condiviso di cambiamento e miglioramento sociale, culturale ed economico per tutti, specialmente per dare risposta alle necessità quotidiane, urgenti e reali dei meno avvantaggiati». Lo scopo è, quindi, poter governare liberamente, in modo da dare vita ad un paese egualitario, solidale, attento ai bisogni della società.
In Catalogna, comunque, questa aria di cambiamento è palpabile. Nel novembre 2014 votò soltanto un terzo degli aventi diritto, forse a causa della dichiarazione di illegalità del referendum fatta pochi giorni prima, ma il risultato fu comunque sbalorditivo: oltre l’80% si dichiarò favorevole all’indipendenza e alla creazione di un nuovo stato sovrano all’interno dell’UE. Adesso la situazione sembra mantenersi allo stesso livello e molti sono i giovani che credono nella proposta indipendentista. Oriol, studente universitario di Barcellona, appoggia con sicurezza il progetto di Junts pel sí: «L’anno scorso non ce l’abbiamo fatta, ma non ci arrendiamo. Ci sarebbero molte cose da cambiare». Non si tratta soltanto dei grandi temi che si sentono in televisione: «Ad esempio, penso che dovremmo valorizzare di più la nostra lingua, l’istruzione dovrebbe essere obbligatoriamente in catalano, anche per chi viene dalle altre regioni della Spagna».
Anche sui social la coalizione sembra riscuotere popolarità: molti i commenti favorevoli e poche le critiche. Inni al presidente, parole di speranza, orgoglio: « Vai avanti, presidente! … Avanti Catalogna! Non so cosa accadrà […] ma confesso che, da ieri, mi sento ancora più orgoglioso di questa foto», scrive Josepmiquel in riferimento al ritratto del presidente Puigdemont davanti al parlamento di Barcellona. Mentre qualcuno, più sfiduciato, scrive: «Stiamo perdendo tempo, non ci faranno mai fare un referendum…».
In effetti, i problemi legati al governo centrale – che decide della validità o meno di una consultazione referendaria – non sono da sottovalutare. In questo senso, il presidente Puigdemont non ha dato indicazioni su come intende affrontare questo ostacolo, ha soltanto detto che “si farà”. Forse, fa affidamento sul fatto che il governo di Rajoy sta vivendo una fortissima crisi. «Bisogna considerare che la Spagna vive un momento di difficoltà e il parlamento nazionale non riesce a formare un governo» scrive Bernard Guetta. Lo stesso fronte governativo, infatti, è indeciso sull’atteggiamento da intraprendere nei confronti dell’indipendentismo catalano: «Alcuni sostengono che l’unico modo di contrastare il nuovo presidente sia quello di far parlare le urne, perché l’indipendentismo ha la maggioranza dei seggi ma non dei voti, mentre altri ritengono che la Spagna dovrebbe compattarsi scegliendo una grande coalizione». Il governo di Puigdemont ha ancora un anno per dimostrare che fa sul serio. Il referendum è stato annunciato, ora si aspetta il resto.
Elisabetta Elia