E’ stata annunciata la volontà da parte della regione Campania guidata dal presidente Vincenzo De Luca di chiudere i reparti di oculistica e otorinolaringoiatria dell’ospedale Pellegrini.

L’ospedale Pellegini nasce nel 1578 come Arciconfraternita con la chiesa della Santissima Trinità dei Pellegrini con lo scopo di dare assistenza ai fedeli che si recavano nei vari santuari italiani. Nel 1968 quello che oggi è l’ospedale Pellegrini si stacca dall’Arciconfraternita e diventa a tutti gli effetti un ospedale pubblico. La chiusura dei reparti è prevista entro il mese di giugno e questo ha subito scatenato delle forti proteste da parte dei cittadini che rivendicano il loro diritto alla sanità pubblica.

Queste le parole che si possono leggere sulla descrizione dell’iniziativa creata per protestare contro la chiusura dell’ospedale Pellegrini: “L’intento generale ormai è di smantellare man mano la sanità pubblica per costringere noi abitanti a rivolgerci, nell’emergenza, alla corsa disperata verso l’ospedale del Mare a Ponticelli e, per l’ordinaria assistenza, sempre di più ai privati, eliminando progressivamente un diritto fondamentale, il diritto di tutti alle cure previsto dall’art 32 della nostra Costituzione”

Il Pellegrini non è l’unico ospedale pubblico a rischio chiusura.  Lo scorso ottobre il San Gennaro di Napoli situato nel Rione Sanità ha subito la stessa sorte e ci sono state numerose iniziative volte ad evitare che ciò accadesse.

Anche per il Pellegrini sono previste manifestazioni di protesta. L’8 aprile si terrà un’assemblea pubblica presso l’ospedale organizzata dagli attivisti di Ex OPG Occupato che abbiamo intervistato in modo da far luce sulla vicenda.

Qual è il motivo per il quale vogliono chiudere il Pellegrini?

“Della chiusura dell’oculistica e dell’otorinolaringoiatria del Pellegrini purtroppo si parla da mesi, è solo il più recente tassello di un quadro fatto di continui tagli trasversali ai servizi di sanità pubblica di Napoli e provincia. Con l’ultimo commissariamento a marchio Polimeni e più in generale con l’elezione di De Luca a governatore della Regione, questo processo ha subito un’accelerazione consistente e pericolosissima per le nostre vite a cui dobbiamo dare un freno! Parlando solo degli ospedali cittadini, il Pellegrini non è l’unico ad essere finito sotto la scure della regione Campania negli ultimi mesi: l’Ascalesi, l’Annunziata, il San Gennaro, per limitarci alle strutture del centro città, hanno attraversato e attraverseranno ancora un simile, progressivo smantellamento, fino alla totale chiusura. Il motivo tanto sbandierato da De Luca e dal PD sta nella chimera della prossima, completa apertura dell’Ospedale del Mare, una maxistruttura da 200 milioni di euro almeno, sorta a Ponticelli, nella periferia cittadina, commissionata nel 2004 con consegna stabilita entro il 2008, ben nove anni fa! Di tanto in tanto se ne sbandiera l’attivazione, generalmente quando si è in campagna elettorale e fa comodo raggranellare un po’ di consenso giocando sulla disperazione di chi ha bisogni concreti e stringenti, come quello di prendersi cura della propria salute. Noi abbiamo sempre denunciato e osteggiato questa operazione, per un motivo semplice: va assolutamente contro gli interessi popolari! L’edificazione ex-novo a spese (altissime!) di tutti quanti noi quando si poteva optare per la riqualificazione delle strutture già esistenti e attive; la scelta di un territorio ritenuto non idoneo in partenza, sicuramente periferico e dunque del tutto irraggiungibile da ampie fette di popolazione; scandali su scandali venuti fuori negli anni a proposito della legittimità di alcuni appalti; ancora i costi lievitati esponenzialmente, anno dopo anno, con deroghe su deroghe e speculazioni su speculazioni; i continui rinvii nella consegna… Questa è la brutta storia di chi sale al potere e pensa di poter fare gli interessi del blocco di potere di cui è espressione, giocando sulla nostra pelle e senza pagare mai il conto delle conseguenze. Ma questa non è la nostra storia! E c’è di più: se anche l’Ospedale del Mare fosse stato costruito e attivato senza problemi e senza ritardi, resta il fatto che un’unica struttura, peraltro periferica, come dicevamo, è del tutto inadeguata a servire una popolazione copiosa come quella partenopea, una popolazione che non dispone di servizi territoriali altri adeguati nei propri quartieri e che dunque necessita di nosocomi attivi nel centro città, proprio perché fa dell’ “ospedalo-centrismo” – tanto osteggiato dai cultori di un modello di sanità a dir poco avveniristico alle nostre latitudini! – la cifra per la propria sopravvivenza, unica garanzia di un facile accesso ai servizi di sanità pubblica dei più basilari. Insomma, se queste sono le motivazioni della nostra controparte possiamo dire già che risultano assolutamente insufficienti per spiegare politiche tanto impopolari. Per quel che riguarda il nostro punto di vista, poi, la spiegazione è un’altra ed è anche più semplice, è sotto gli occhi di tutti ormai: la chiusura del Pellegrini si inserisce nel solco di un progetto spietato di messa in crisi del nostro welfare, di un sistema (quello sanitario pubblico, universalistico, a libero accesso per tutte e tutti) che a sentire qualcuno, chi ci governa, è “diseconomico”, deve essere messo a profitto dei privati, e dunque deve sparire piano piano, possibilmente nel massimo del consenso possibile. E così taglio su taglio, lentamente, ci vengono negati sempre più servizi, siamo costretti ad accontentarci delle briciole, a piangerci le conseguenze concrete di un sistema sempre più pietoso, fatto di strutture fatiscenti, ticket salatissimi, liste d’attesa eterne, organici insufficienti. E nel frattempo giornali e Tv ci bombardano di notizie per cui i lavoratori dei servizi pubblici sono solo “furbetti del cartellino” corrotti, che preferiscono il campo da tennis al posto di lavoro, e diventa sempre più difficile contrastare quel moto di repulsione che crea una strumentale disaffezione verso la lotta per i nostri diritti. Ebbene, noi abbiamo deciso di dire basta a tutto questo, di alzare la testa e cominciare a dire la nostra!”

Cosa comporterebbe la chiusura di questa struttura?

 “La chiusura determinerebbe la scomparsa di reparti eccellenti e spesso fondamentali per la salute della popolazione napoletana, per non parlare del fatto che in particolare i servizi di Pronto Soccorso specialistico sarebbero destinati a scomparire. Basta farsi un giro in strada, chiedere alla gente di Montesanto e dei quartieri limitrofi, ascoltare le parole di chi quei posti li vive, di chi di quei servizi fruisce, di chi vi lavora dentro, per capire che è una pazzia, che abbiamo tanto, troppo da perdere! Molti abitanti dei quartieri popolari di Napoli, come dicevamo, non hanno altre strutture territoriali di riferimento e necessitano di servizi di Pronto Soccorso efficaci e distribuiti quartiere per quartiere, soprattutto per la loro difficoltà a raggiungere altre zone più periferiche della città tempestivamente in caso di urgenza, per la difficoltà ad essere raggiunti dal 118 in tempi congrui, per il sempre maggiore sovraffollamento, già oltre i limiti della sostenibilità, dei pochi Pronto Soccorso rimasti in piedi a Napoli, basti pensare alle immagini più comuni del Cardarelli, del San Giovanni Bosco, del Loreto Mare per farsi un’idea di quanto sia fondamentale mantenere punti di riferimento diffusi ed adeguati in più zone della città. In gioco è la nostra sopravvivenza, non vogliamo chiacchiere sui risparmi necessari, vogliamo rigettare qualsiasi “conto della serva” fatto sulla nostra pelle, a maggior ragione quando si fanno sprechi su sprechi in sanità quando c’è da arricchire le tasche di chi specula sulla nostra salute.”

Dopo la chiusura del Pellegrini, che fine faranno i pazienti e i medici che da anni lavorano in quest’ospedale?

“Vogliamo rispondere alla domanda “che fine farebbero?”, perché nulla è immodificabile, perché tocca a noi scrivere una fine diversa a questa storia, perché uniti e organizzati possiamo davvero cambiare il corso delle cose e riprenderci in mano i nostri destini! I medici sarebbero trasferiti, secondo la propria volontà o contro, poco importa. Lo abbiamo già visto in passato per le altre chiusure: nessuno dei nostri governanti è disposto ad ascoltare la voce di coloro i quali lottano per difendere le proprie condizioni lavorative, ma soprattutto gli interessi di quell’utenza che resterà sempre più priva di servizi fondamentali nel centro cittadino. E ci teniamo a dire anche un’altra cosa: un ospedale non è fatto solo di medici, ma anche di infermieri, di operatori sanitari, di tecnici del settore, di personale amministrativo, insomma di figure professionali varie, con contratti lavorativi e condizioni occupazionali molto diversificate. Chi ha condizioni occupazionali più precarie, turni di lavoro più usuranti, professionalità più svilite, destini più incerti generalmente non viene mai chiamato in causa a fronte di tagli come questi, del loro destino nessuno si importa! Ebbene noi vogliamo dare il giusto protagonismo a tutti i lavoratori, indipendentemente dal titolo di studio e dalla categoria, proprio perché tutti e tutte sono indispensabili per un buon funzionamento di qualsiasi reparto, di qualsiasi ospedale. Vogliamo fare di questa lotta un momento di riscatto per la dignità lavorativa di chiunque crede fortemente nel servizio sanitario pubblico e spesso a testa bassa, buttando il sangue, ci mette passione ogni giorno per tutelare la salute dei propri pazienti. Insomma, vogliamo dare voce a tutte queste storie, partendo proprio dalle rivendicazioni di chi si troverebbe più penalizzato dalla chiusura perché più scoperto sul piano occupazionale! Per quel che riguarda i pazienti, poi, è chiaro che ad allarmarci in particolare sarebbero le sorti delle fasce popolari della città, di chi non ha alcun modo di scegliere il servizio “migliore”, il più adeguato, magari nel privato, per prendersi cura di sé e della propria famiglia. Una fetta sempre più ampia di società, in questi ultimi anni, è stata letteralmente vomitata fuori dal sistema sanitario pubblico, si parla di centinaia di migliaia di persone che rinunciano alle cure sperando di non ammalarsi o rassegnandosi alla malattia, proprio perché costretti a scegliere fra un ticket da pagare e portare il piatto a tavola! Per tutte queste persone l’accesso in Pronto Soccorso, il ricovero in ospedale, spesso quando è anche troppo tardi per scongiurare complicanze e morti evitabili, rappresentano l’unica chance possibile per salvarsi, non è un’esagerazione. C’è chi non può pagare il ticket, chi è condannato a liste d’attesa eterne, che talvolta si trova quasi a sperare di poter accedere gratuitamente e tempestivamente ai servizi. Questi pazienti, ripetiamo una fascia sempre maggiore di pazienti, saranno ancora di più condannati alla negazione del diritto alla salute, se non alla morte e tutto ciò è inaccettabile. Come è inaccettabile vedersi privati di un servizio di emergenza indipendentemente dal proprio status-socioeconomico: chiunque può avere bisogno di un soccorso urgente e questa lotta, dunque, parla a tutti, rappresenta l’occasione per ricucire un pericoloso strappo fra classi sociali per le quali sembrano essere scritti destini sempre più diversificati. Dobbiamo schierarci tutti dalla stessa parte, abbiamo tutti gli stessi bisogni e gli stessi diritti, dobbiamo ricostruire quella solidarietà sociale per cui davanti alle cure, davanti ai bisogni di assistenza medica la civiltà è un sistema sanitario pubblico, gratuito, universalistico, di qualità, per tutte e tutti, per chi può permettersi di comprarsi le cure a caro prezzo e per chi no!”

In cosa consisterà lo sciopero dell’8 aprile? Perché è importante parteciparvi?

“L’otto aprile ci sarà una grande assemblea pubblica nei pressi del Pellegrini, speriamo sia partecipata, invitiamo tutti a venire, mobilitarsi, unirsi a noi! Purtroppo non possiamo parlare di sciopero: c’è da prendere atto del fatto che la frammentazione esistente fra sindacati diversi, fra lavoratori di categorie diverse, è tale da non consentire ancora una risposta adeguata e unitaria, l’organizzazione di un deciso rifiuto dall’interno a tutti questi provvedimenti! Ma non ci scoraggiamo, il primo passo tocca farlo proprio a noi, tocca lanciare un sasso nello stagno! D’altro canto per noi si tratta solo di un punto di partenza, dell’inizio di un percorso cittadino, unitario, capillare, costruito dal basso, che intende costruire giorno dopo giorno una forte mobilitazione sociale contro lo smantellamento di tutta la nostra sanità pubblica. Partiremo da una battaglia di resistenza e sia chiaro da subito che non ci arrenderemo fino a che non avremo portato a casa la vittoria, fino a che non strapperemo che l’oculistica e l’otorinolaringoiatria del Pellegrini restino attive, ancora disponibili per tutto il popolo napoletano. Siamo stanchi di stare a guardare mentre ci tolgono tutto e ci fanno ammalare ed è per questo che non ci fermeremo qua, è per questo che da questa prima lotta ci organizzeremo per rilanciare e riprenderci tutto ciò che ci hanno tolto in questi ultimi anni, battaglia dopo battaglia, fio alla vittoria! Noi vogliamo una sanità dalla quale nessuno resti più escluso, quartiere per quartiere, città dopo città. Vogliamo dare concretezza a quel fortissimo NO che solo alcuni mesi fa ha bloccato lo smantellamento di una Costituzione che tutela il diritto alla salute per tutte e tutti, senza discriminazioni di sorta; vogliamo dar seguito a ciò che ci siamo promessi alle urne: che non ci saremmo fermati al voto, che non avremmo atteso passivamente che qualcuno si decidesse a fare i nostri interessi, che saremmo ripartiti dall’indomani per dare sostanza a quella prima vittoria, per pretendere che i principi che abbiamo difeso diventino realtà di fatto, mobilitandoci, recuperando sempre più protagonismo sulle nostre vite, riconoscendoci come parte di una stessa fetta di paese, la parte sana, quella di un popolo che si è stancato di stare a guardare, che è pronto a fare della propria rabbia il motore per reagire e diventare protagonista del proprio destino!”

Andrea Chiara Petrone

 

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