Dal 31 luglio 2020 al 31 gennaio 2021, la Palestra grande (portico orientale) degli scavi archeologici di Pompei, diventa sipario della mostra Venustas, promossa dal MiBACT. Protagonisti dell’evento sono gioielli, creme, trucchi, bagni di profumo, prodotti utilizzabili nelle terme (pietre pomici, strigili, un rasoio), specchi, ornamenti per abiti e amuleti, statuette e oggetti simbolici che venivano dedicati agli dei durante preghiere e rituali (che ci svelano l’abitudine latina di donare alla divinità preziosi contenitori di profumi).
Si parla quindi di venustas, della ricerca della bellezza dal sapore sia classico che orientale, l’eterna volontà del perfezionarsi e poter quindi proporre al mondo la versione migliore di noi stessi. Le normative anti Covid-19 hanno vincolato il percorso a un senso unico obbligatorio, reso interattivo da due sequenze di immagini che, grazie a dei video proiettati sul pavimento, conducono i visitatori alle vetrine successive con citazioni di autori classici (Ovidio e Marziale) inerenti all’argomento.
Su ispirazione di Vanity (la mostra dello scorso anno che ha permesso un confronto fra gioielli del mondo della Grecia nord e quelli della nostra antica Campania) Grete Stefani, Ria Berg e Massimo Osanna, con l’architetto Annamaria Mauro, responsabile unico del procedimento, hanno curato Venustas per porre, questa volta, un focus sulla cura della persona e dell’igiene, tramite un percorso che scopre gli standard di bellezza e le cosmesi del mondo antico, dall’ VIII/VII sec a. C. al I sec. d. C.
Per questo progetto sono state allestite diciannove vetrine con trecento reperti, ritrovati nel villaggio protostorico di Poggiomarino, nelle necropoli protostoriche di Striano e in quella di Età Arcaica di Stabia, nei santuari di Pompei e di Stabia, nelle ville di Oplontis e Terzigno, e nell’abitato dell’antica Pompei.
Il percorso di Venustas inizia proponendo fibule e ornamenti in ambra ritrovati a Longola, villaggio dell’età del ferro nell’attuale Poggiomarino, frutto degli scambi commerciali con il Baltico, per poi continuare con gli ornamenti arcaici che impreziosivano le necropoli protostoriche di Striano e di Stabia. Un’altra vetrina propone il corredo di una tomba femminile della necropoli di porta Nocera, di Pithia Rufilla, nome che compare nell’iscrizione sulla facciata della tomba di famiglia. Nel corredo si vedono oggetti miniaturistici che dovevano essere ricordi dei suoi giochi d’infanzia e un unguentario con un cucchiaino d’argento. Attirano l’attenzione per la loro singolarità tre sfere esposte: una di cristallo, una di pietra nera e una di pietra colorata che forse erano utilizzate per un rito magico.
Un’unica vetrina è dedicata agli specchi di ogni forma e dimensione, alcuni anche particolarmente preziosi. Tra questi, spicca uno specchio a teca che Matteo Della Corte sosteneva raffigurasse Nerone poiché è ornato da un ritratto maschile racchiuso in una ghirlanda di quercia, ghirlanda notoriamente simbolo imperiale. Legata alla bellezza del corpo, la mostra Venustas offre anche una vetrina dedicata all’abbigliamento e ai tessuti utilizzati per sia per il vestiario e per la decorazione delle acconciature.
Il mondo classico non si curava solo della bellezza fisica ma, su ispirazione greca, l’armonia esterna deve coincidere quella interna. La vetrina che si dedica a quest’altra accezione di venustas propone anche un percorso espositivo realizzato da una composizione di statue: al centro la Venere di Oplontis e ai lati, rispettivamente, la statua della musa della poesia sacra, Polymnia, e la musa della poesia amorosa, Erato, ritrovata nella dimora di Octavio Quartio.
La mostra Venustas propone anche una differenziazione tra i gioielli che le classi più abbienti potevano permettersi e quelli meno preziosi, realizzati in grani di pasta vitrea, a dimostrazione che, ieri come oggi, una condizione economica meno agiata non ostacolava del tutto la vanità delle donne, sempre attente al loro aspetto e alla cura della propria bellezza.
“Gioielli in fuga” è il titolo dell’ultima vetrina di Venustas, che raccoglie i gioielli che le persone indossarono con foga prima di tentare la fuga dall’eruzione. Si tratta di oggetti preziosi, visti come una salvaguardia per un futuro incerto. Tra questi, bracciali d’oro dalla casa omonima di Pompei, da Moregine e alcuni, più poveri, da porta Nola. Come ultimo step dell’esposizione, il calco di una donna che scappava lungo via Stabiana: simbolo della bellezza distrutta dall’eruzione.
Con l’occasione e in linea con il tema della venustas, si inserisce negli itinerari unidirezionali organizzati dal Parco, anche la casa degli Amanti, che prende il nome dal verso inciso su un quadretto ritrovato nel portico del giardino: «Amantes, ut apes, vitam melitam exigunt» (Gli amanti conducono, come le api, una vita dolce come il miele).
Alessia Sicuro