In Uruguay l’emergenza siccità continua a essere un problema

Dalla fine dello scorso mese di giugno, la crisi climatica e l’accesso alle risorse naturali sono stati i focus dei dibattiti politici in Uruguay, dopo che l’emergenza siccità ha assetato l’intero paese. La capitale Montevideo è rimasta a secco poiché l’invaso di Paso Severino, in assenza di piogge, si è progressivamente prosciugato. Tuttavia, la crisi idrica che si è ripercossa pesantemente sull’intero paese deriva da anni di politiche errate, a cominciare dalla carenza delle infrastrutture a cui non è mai stato posto adeguatamente rimedio.

Negli scorsi giorni le autorità uruguaiane hanno annunciato che lo stato di emergenza agricola, dichiarato a causa della carenza di disponibilità d’acqua, permarrà fino alla fine dell’anno, mentre lo stato di emergenza per la siccità è venuto meno proprio nelle ultime settimane. L’emergenza ha a oggetto la tenuta dell’intero settore dell’agrobusiness, in modo particolare: bestiame, prodotti lattiero-caseari, orticoltura, frutta, agricoltura, apicoltura, pollame e silvicoltura.

Il Ministro dell’Allevamento Fernando Mattos ha affermato che, nonostante le precipitazioni siano rientrate ora nella norma «c’è ancora molta strada da fare per recuperare e raggiungere il punto ideale». L’emergenza idrica che ha colpito l’Uruguay è, infatti, la più grave degli ultimi 74 anni – come riportato da The Guardian.

Nel mese di luglio, infatti, le riserve idriche erano scese all’1,8%, andando a privare circa 3,5 mln di abitanti di acqua potabile, in modo particolare nell’area metropolitana di Montevideo dove si concentra il 60% della popolazione totale del paese. Sembra, però, che la grave situazione venutasi a creare in Uruguay non sia da attribuirsi unicamente a imprevedibili circostanze meteorologiche che hanno prosciugato l’invaso di Paso Severino, bensì in larga misura alla gestione antropica delle risorse naturali.

Nonostante l’accesso all’acqua potabile sia definito un “diritto umano fondamentale” nella Costituzione uruguaiana del 2004, Luis Lacalle Pou, nei mesi scorsi, si è limitato a messianiche invocazioni perché piovesse («Rezar para que llueva») anziché, prendere le opportune contromisure a una crisi idrica senza precedenti che ha assetato milioni di abitanti e porre al primo posto la salvaguardia dei propri cittadini, anziché degli interessi del settore dell’agrobusiness, fondato su di un modello estrattivista che alimenta queste catastrofi.

L‘Instituto de Ecología y Ciencias Ambientales de la Facultad de Ciencias de la Universidad de la República, aveva già dato l’allarme nell’agosto 2022 in un manifesto rivolto al governo, in cui scienziati e accademici invitavano a migliorare la manutenzione degli invasi utilizzati come fonti di acqua potabile, ma il presidente Luis Lacalle Pou, ultra-conservatore del Partito Nazionale, non aveva ritenuto urgente porre rimedio alle gravi carenze infrastrutturali.

Numerose le manifestazioni popolari tenutesi proprio a partire dallo scorso giugno nonostante «Lacalle Pou cerca di rassicurare i cittadini affermando che l’afflusso di acqua alle abitazioni sarà garantito, dai rubinetti esce un liquido salato e a volte torbido, sgradevole da bere e inadatto agli usi domestici» – come riportato da Marco Santopadre per il manifesto. Per le strade di Montevideo, «suonando bottiglie di plastica vuote», risuonava il grido di protesta «non è siccità, è saccheggio» nei confronti del governo, accusato di aver assetato milioni di abitanti e di non aver prevenuto la catastrofe idrica.

La situazione è diventata critica al punto da minare l’incolumità dei residenti uruguaiani quando, «di fronte al crollo della portata del Salta Lucía», è stata presa la decisione di attingere acqua dal fiume Rio de la Plata, «che è salata, visto che si mischia con quella marita in prossimità dell’estuario». Ciò ha comportato l’innalzamento dei livelli di sodio e di ferro nell’acqua distribuita nella rete urbana, il che può causare problemi di salute cronici a chi ne fa uso ma, «mentre Obras Sanitarias del Estado (OSE), l’azienda idrica pubblica, ha aumentato la quantità di cloruri addizionati all’acqua per impedire la proliferazione di agenti patogeni, le autorità sanitarie, su mandato di Lacalle Pou, hanno risposto raddoppiato i limiti massimi di cloruro di sodio e di altre sostanze tollerati per legge nell’acqua potabile», di fatto aggirando il problema sanitario.

Di conseguenza, i prezzi dell’acqua minerale disponibile in commercio sono saliti alle stelle e a nulla sono serviti gli interventi governativi volti a mitizzare l’impatto economico per i cittadini azzerando le imposte sull’oro blu. Inoltre, «per evitarne l’accaparramento, i supermercati limitano la quantità di acqua minerale che ogni cliente può acquistare e comunque una parte della popolazione non può permettersela e beve – indignata – mate salato». L’acqua, infatti, risultava avere un cattivo odore e sapore ed essere densa e scura, satura di minerali – l’Oms raccomanda un massimo di 200 mg di sodio per litro, mentre quella che arriva a Montevideo supera i 440.

Quella che inizialmente era una delicata situazione naturale, si è trasformata in catastrofe portando al prosciugamento completo delle falde per via di una commistione di fattori, dalla moltiplicazione delle piantagioni di eucalipto, di soia e degli allevamenti intensivi, alle scelte politiche poco attente alle esigenze infrastrutturali del paese, come denunciato da scienziati e ambientalisti.

In Uruguay a bere sono solo gli assetati di profitto

Come se non bastasse, la situazione potrebbe divenire ulteriormente critica per via della costruzione di un enorme data center di Google. A provocare maggiori danni, dunque, sembrano essere le scelte politiche in merito alla distribuzione delle risorse.

Nel 2021 era stato reso noto che l’azienda informatica statunitense aveva acquistato 29 ettari di terreno nel Parque de las Ciencias, nel sud del paese, per la costruzione di un data center. Quest’ultimi sono l’infrastruttura fisica del web, dove batte il cuore di Internet, immensi magazzini che ospitano le informazioni alle quali gli utenti accedono quotidianamente e necessitano di ingenti quantità di energia e d’acqua per il processo di raffreddamento volto al funzionamento delle macchine.

Una volta operativo, il centro di Canelones utilizzerà di circa 7,6 mln di litri di acqua potabile al giorno – si legge sul settimanale Brecha -, che equivalgono al consumo giornaliero di acqua potabile di 55 mila persone, «come se all’Uruguay si aggiungesse una nuova città di medie dimensioni, come Melo o Tacuaremb» – spiega al quotidiano uruguaiano El Pais Andrés Ferragut.

A tal proposito, Daniel Pena, ricercatrice presso l’Università di Montevideo, ha affermato che «solo una piccola porzione d’acqua potabile in Uruguay è usata per il consumo umano. La maggior parte viene usata per le industrie dell’agrobusiness, come quelle legate alla soia, al riso e alla pasta di legno. Ora c’é anche Google, che pianifica di utilizzare grandi quantità di acqua» – come riportato su The Guardian.

Il progetto di Google è ancora allo stato embrionale, team di tecnici stanno lavorando attivamente con le autorità locali per raggiungere un accordo, ma da più parti sono già arrivate proteste e scontenti per la costruzione del data center nella zona. Una risorsa che già scarseggia per via della crisi climatica, e, dunque, della conseguente siccità che ha colpito in modo particolare l’Uruguay nell’ultimo anno, diverrà ancor di più oggetto di una guerra all’oro blu, fra la popolazione che vede minato il suo accesso all’acqua potabile e le macchine che vengono abbeverate a discapito della prima.

Infatti, solo una minima parte dell’acqua disponibile nel Paese è destinata al consumo umano: «più dell’80 per cento è usata dall’industria o dalle coltivazioni intensive, come soia, riso e legno per la produzione di carta. Certo, è piovuto meno del solito, ma la siccità ha semplicemente fatto emergere i problemi del nostro modello economico» – ha dichiarato al The Guardian Carmen Sosa, del Comitato sindacale per la difesa dell’Acqua e della vita. «Le risorse del Paese non devono essere concentrate nelle mani di pochi. L’acqua per il consumo umano deve venire prima del profitto».

L’ecologista Barry Commoner scrisse: «la crisi ambientale rivela gravi incompatibilità tra il sistema imprenditoriale privato e le basi ecologiche che lo sostengono». È ormai evidente come l’attuale modello economico sia anti-ecologico e, di conseguenza, provochi una pericolosissima frattura metabolica nell’interazione essere umano-natura che mette a repentaglio il riprodursi della vita stessa.

Celeste Ferrigno

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