Nell’ultimo articolo di Eco&Narciso abbiamo fatto luce sulla tenerezza poetica con cui alcune figure femminili si sono avvicinate a svariati studi, nonché alla filosofia. Con la magnificenza della “ragione poetica”, che fa della passione un elemento primordiale, e dell’anima, un approdo per la conoscenza della nostra realtà.
La questione che abbraccia la filosofia quando si parla di “Anima“, comunque fu già strumentalizzata a fin di bene da colui che si considera faro dell’orazione Greca, il più grande fra i filosofi: Socrate.
Cari lettori, oggi non ci soffermeremo sull’usualità di ritenere l’anima una componente platonica e spirituale, degna di immortalità, moralità assoluta e sacralità; bensì sviscereremo le caratteristiche che hanno fatto del personaggio Socrate un modello, che racchiudeva -nell’anima- l’autarchica semplicità dello stoicismo puro.
Socrate era un uomo come noi: aveva cervello abbondante per oziare tutto il dì e concedersi alla bramosa sete di sapienza della comunità. No, le sue non erano rivelazioni né tanto meno intuizioni: solo considerazioni oggettive scaturite dalla compassionevole ricerca di quesiti degni d’ascolto, nient’altro; animate dalla semplice curiosità che può ammaliare anche un bambino, rafforzate con la predilezione di una vita impiegata per l’indulgenza verso la comunità. Perché nel periodo dei sofisti era controcorrente aristocratizzare anche le persone povere col ragionamento; e ricordiamo che se decise di andare in morte nonostante la possibilità di scappare, non fu certo per eclatante atto d’eroismo (a quello ci penseranno la tragica inutilità Senecana e poi Petronio).
Possiamo quindi affermare che l’avanguardia di Socrate sta nella sua morte: lì dove il dialogo diventa prassi celebrativa, lì dove il coraggio di rimanere sé stessi si concretizza e mette in pace cuore e mente. La filosofia sembra essere l’arte della ferrea razionalità, ma paradossalmente il più grande filosofo mai esistito sfata questo mito per oltrepassarlo come un meccanismo hegeliano, attraverso e grazie le rinvenuteci parole di Platone tratte dal Fedone:
“Quelli che a dovere si occupano di filosofia, si studiano di morire; e l’esser morto a loro meno che ad ogni altr’uomo deve incutere terrore. Se sono in dissidio col corpo e aspirano ad avere l’anima di per se sola; e se quando avviene, temessero e se ne rammaricassero, non sarebbe una contraddizione ove non andassero con animo lieto lì dove hanno speranza di conseguire quello che amano, vale a dire la sapienza?”
Queste parole ci sono d’aiuto nel captare lo spirito di esemplarità con cui Socrate visse il suo ultimo giorno di vita; e mentre i suoi discepoli tentavano l’abbraccio malinconico che mettesse il filosofo nella condizione di volere libertà, egli mostra quanto questa libertà fosse stata in lui conciliata durante tutta la vita, e non sarebbe potuta terminare se non nel modo in cui accadde: non parlo del veleno ingerito, parlo della sicurezza espressiva con cui consolava i suoi compagni a fronte della morte prossima. E della speranza prediletta nella conquista di un eden stabilito, che avrebbe saputo accoglierlo nelle sorti della vera esistenza. Perchè se non fosse stato Socrate, a finire nella metafora del paradiso dantesco, e a risiedere accanto alla purezza e diventare un tutt’uno con la verità, allora ad oggi non ce ne sarebbe ancora un degno beneficiario.
“La morte la ritengono uno dei grandi mali [..] molti temono di rimaner privi di certi piaceri che agognano, e s’astengono da taluni perché non resistono ad altri. Barattano piaceri con piaceri, dolori con dolori, paure con paure come delle monete. Ma la moneta buona è una sola: la sapienza, e con questa s’accompagnano il coraggio, la temperanza, la giustizia, in una parola sola: la virtù.”
Ebbene, Socrate differisce dal materialismo e dalla corporeità dei sensi, differisce dalle passioni che vincolano la libera espressione razionale, ma non differisce dalla vita: la quale lo accolse nel baratro di storia, facendone un modello che ad oggi appare catastroficamente antiquato e distante, ma che racchiude senz’altro l’indole della giustizia e della normalissima umanità. D’altronde stava in pace con se stesso, tanto che fu forse il solo ad ammettere che lui del mondo non ne sapeva proprio niente.
Alessandra Mincone