Erri De Luca è un personaggio scomodo: almeno, così devono aver creduto al momento di porlo sotto processo per istigazione a delinquere, quando professava legittimo il sabotaggio della TAV in Val di Susa.

Processo in cui è stato assolto, nonostante la premura con cui le autorità si siano prodigate, come lui stesso racconta, nel seguirlo in ogni dove e circostanza, alle occasioni pubbliche, per verificare se il “reato” venisse reiterato.

«Ed io lo reiteravo», ammette candidamente in occasione della presentazione del suo nuovo libro, “Il più e il meno”, al Cinema Vittoria di Napoli. Un traguardo intermedio lungo un cammino esistenziale che l’ha condotto, sulla memoria di vecchi ricordi familiari, a considerare “il più” come già fatto, ed “il meno” come ciò che rimane.

Un autore controverso, un pensatore prodigo di una lucida nostalgia, a cui non manca mai il talento di esporsi con raffinata autorevolezza ed ironica coerenza, anche al momento di assumere posizioni scomode o di far storcere il naso.

Erri De Luca, del resto, è così: prendere o lasciare. E in un panorama desolatamente asfittico di verve intellettuale, solo uno Stato autoritario e fascista può concedersi il lusso di mettere alla gogna la parola contraria, quella di opposizione, di denuncia, soprattutto di libertà. Perché, è bene ricordarlo a tutti, la libertà di parola non si applica soltanto alle parole che vogliamo ascoltare.

Ed Erri di questo sembra ben consapevole, nel suo porsi ruvido di rughe, con la posa stanca di un uomo provato da mille fatiche e battaglie, che ha trovato nella letteratura il suo porto sereno in cui compendiare un operato di coscienza, opinione e resistenza. Giova ricordare che pubblicò il suo primo romanzo alla soglia dei quarant’anni; e questo, di per sé, è di straordinaria ispirazione per chi (come il sottoscritto) non vuole ancora abbandonarsi alla disperazione.

Ho avuto la possibilità di una breve chiacchierata con lui: un’occasione per tangere temi precipui e pregnanti come la crisi umanitaria prodotta dal capitalismo e la tutela ambientale vittima del medesimo carnefice. Di seguito l’intervista:

Il più e il meno sono due paradossi basilari di questa società sprecona e menefreghista: da un lato c’è chi ha tutto, dall’altro chi nulla; lei crede che esista un ago della bilancia in grado di riequilibrare questa dicotomia?

«Il mondo cambia continuamente, e l’ago della bilancia oggi è la demografia: esiste un Sud del mondo che sta risalendo i continenti, sta mischiando le carte – anche le nostre – e questo è il rimescolio che produce il cambiamento, anche il cambiamento dei pareggi. Il “dispari” si aggiusta continuamente rimescolando le carte.»

Di recente lei, dopo essere stato “No-TAV” si è mostrato anche come “No-TRIV”: in un tweet l’ha infatti definito “un progetto di stupro” perché il nostro vero tesoro è la bellezza. In che modo possiamo difendere tale bellezza dalla violenza e dalla volgarità del profitto?

«Dal profitto, ma anche dal potere, dalle collusioni… noi abbiamo, dalla nostra, il fatto che amiamo la nostra terra, e abbiamo dei politici che non amano la loro terra (che è anche la nostra), e che quindi la asservono a degli scopi che io definisco “stupri”. Quindi, oggi, l’ordine del giorno è la difesa della nostra terra, del nostro suolo, dell’aria e dell’acqua: ci sono posti come la Val di Susa, come Taranto, come nel caso delle trivelle a Sud, nell’Adriatico… La cosa peggiore di quelle trivellazioni sono le prospezioni geognostiche, che attraverso vere e proprie bombe di onde sonore distruggono tutta la fauna del Mediterraneo. Dunque, noi abbiamo tantissime buone ragioni, e sono convinto che queste ragioni alla fine la spunteranno.»

Emanuele Tanzilli

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