Arriva dall’agenzia russa Sputnik l’indiscrezione secondo la quale i servizi segreti del Kosovo sarebbero a conoscenza della presenza di 5 diversi campi di addestramento ISIS all’interno dei confini della propria nazione.

I campi più grandi sarebbero stati allestiti a Ferizaj, Gjakovica e Dečani, mentre a Prizren e Pejë vi sarebbero campi di dimensioni limitate.
Qui molti kosovari islamici intraprendono il proprio percorso di radicalizzazione, studiando l’arabo e recitando il Corano. E sempre qui affinano inoltre le proprie doti da combattenti, esercitandosi con mitra e fucili e seguendo le lezioni impartite da ex-paramilitari.

La nazionalità degli “istruttori” è ancora incerta, ma sembra che non appartengano in toto al mondo dei combattenti jihadisti.
Molto probabilmente sono infatti degli ex-guerriglieri dell’UCK, coloro che ai tempi della guerra per l’indipendenza kosovara fronteggiarono le forze serbe, divenendo in patria dei veri eroi.

Non sarebbe però a ben vedere una modalità di agire inedita, quella di appoggiarsi a gruppi di ex-guerriglieri locali lì dove lo Stato Islamico decide di costituire i propri avamposti: L’Espresso già rivelò tempo fa che delle molte cellule ISIS attive nei Balcani (circa 20 in tutto fra Kosovo, Albania, Serbia, Macedonia, Bosnia e Montenegro) una modesta quantità si giova proprio di tale tipo di riferimenti locali.

Si fanno sempre più numerosi gli interrogativi di chi, conscio delle formali operazioni distruttive intraprese da più attori occidentali contro l’ISIS, fatica a comprendere come venga permesso che dei campi di addestramento jihadisti permangano in territori così prossimi alle principali capitali europee, e come sia possibile, per di più, che tali avamposti siano stanziati in Kosovo, lì dove dal termine della guerra di indipendenza l’influenza della NATO e quindi degli USA è determinante.

Il campo di Ferizaj non disterebbe, a quanto sembra, più di un’ora da Camp Bondsteel, la base americana più grande mai costruita dai tempi del Vietnam.
Una base nella quale, però, probabilmente si è già verificata qualche défaillance operativa, come ad esempio in passato l’accoglimento al suo interno di Lavdrim Muhaxheri, oggi conosciuto come il capo della cosiddetta “brigata balcanica” dell’ISIS. Un uomo che nei suoi appelli-video alla radicalizzazione ha bruciato il proprio passaporto kosovaro, e che più di una volta ha filmato le sue esecuzioni.
La presenza di Muhaxheri a Camp Bondsteel non è mai stata comunque confermata, così come quella di Blerim Heta, uno dei kamikaze di un attentato a Bagdad.

Che in Kosovo si possa parlare di vera e propria emergenza terroristica è ancora da stabilire, ma di certo anche i dati certificati che arrivano da organizzazioni non governative parlano chiaro: più di 300 kosovari sono divenuti combattenti ISIS, il più alto numero in Europa se rapportato alla ridotta popolazione nazionale, di appena 2 milioni di abitanti.

Così, in una regione forzatamente multietnica, nella quale l’Islam si era sempre mostrato moderato e accondiscendente, oggi l’integralismo muove i suoi primi e forse irreversibili passi.

Una conversione che, seppur in maniera assolutamente non esaustiva, ha una sua chiave di lettura nella presenza in Kosovo di consistenti capitali sauditi, arrivati nel periodo di ricostruzione successivo all’indipendenza.
«Mentre gli Stati Uniti hanno fornito i propri aiuti al Kosovo pensando ad una nuova democrazia di tipo occidentale, i sauditi cercavano terreno fertile per la propaganda wahabita», chiosa il New York Times in un articolo di maggio.

Resta da chiedersi se gli USA fossero completamente all’oscuro delle intenzioni degli alleati.

Valerio Santori
(Twitter: @santo_santori)

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