«’O San Carlo p’ ‘a grandezza, ‘o Bellini p’ ‘a bbellezza»
Così recita un detto napoletano: e forse sarà per le sue decorazioni, per le sue innovazioni e per gli ornamenti di gusto francese che il Teatro Bellini si è meritato questa reputazione. Fatto sta che tra le strade e viuzze di Napoli, tra le sue mura e i tracciati di eredità greco-romana, nel 1864 vide la luce questo splendido teatro privato. Affiancato dall’Accademia di Belle Arti e dal Conservatorio di San Pietro a Majella, fu commissionato all’architetto Carlo Sorgente e fortemente voluto dall’avvocato barone Nicola La Capra Sabelli.
Teatro Bellini fu inaugurato il 13 novembre 1864, con l’esibizione di Circo Guillaume. Fu sede di grandi innovazioni, ai suoi esordi ospitò in particolare spettacoli circensi ed equestri. In pochi anni il barone decise di ampliare il teatro e sistemarlo di modo che ospitasse in particolare qualche opera lirica: fu a questo punto dedicato a V. Bellini.
Nell’aprile del 1869, il “Vecchio Bellini” fu distrutto da un incendio che ne lasciò in piedi le sole mura esterne e che pian piano andavano ad annerirsi e a confondersi completamente con gli edifici contigui. Il vecchio Bellini non era nello stesso luogo dell’attuale teatro; sorgeva nell’allora Largo del Mercatello, l’attuale Piazza Dante. Delle fattezze del primo Bellini ben poco sappiamo, ad eccezione del fatto che la facciata presentava tre statue. Dopo il drammatico incendio che ne causò la prima chiusura, dovettero passare 8 anni prima che il Teatro riaprisse.
Era il 6 febbraio del 1878 e il Bellini tornava a riempire i bollettini teatrali dei giornali e ben presto a rioccupare quel posto di prestigio che aveva sempre avuto. Il “Nuovo Bellini” fu riprogettato dall’architetto Sorgente, che si ispirò all’″Opéra-Comique di Parigi″. Oltre alla collocazione, mutò anche la struttura: la pianta del teatro divenne a ferro di cavallo.
La storia di Teatro Bellini è stata senza dubbio incostante, con parecchi momenti burrascosi che si trasformarono in innovazioni eccezionali. Gli antichi splendori degli esordi erano stati seguiti da un declino inesorabile nel dopoguerra.
Uno spiacevole esilio, quello che interessò il Bellini. Ai suoi tempi era stato luogo privilegiato, carico dei ricordi fastosi di quelle ormai lontane serate passate a Teatro. Fin dall’inizio si era distinto per la sua avanguardia e per la sua varietà: teatro moderno e delle innovazioni per antonomasia, aperto alle nuove esperienze musicali e luogo in cui recitarono grandi nomi attoriali.
E così quelle stagioni teatrali univano il vecchio al nuovo, la tradizione al cambiamento. All’attenzione per i classici si univa lo spazio per l’evasione, coniugando e mixando in modo armonioso i gusti del pubblico alla voglia di innovare.
Storico rimarrà il trionfo nel ’79, quando il Bellini ospitò la prima italiana della ″Carmen″ di Bizet. Quella stessa opera che a Parigi non aveva avuto molto successo e che il San Carlo era stato cauto a riproporre, fu per il Bellini l’occasione di dimostrare la sua audacia e per fare apprezzare l’opera e riportarla nei teatri europei.
Fu un periodo prospero per questo teatro, che divenne sede privilegiata di spettacoli musicali di alto livello e soprattutto quella stabile dove si appoggiava la compagnia del grande Eduardo Scarpetta.
Tra i massimi autori e attori del teatro partenopeo di fine ‘800 e inizi ‘900, Scarpetta fu il fautore di un tipo di teatro “dialettale moderno”: le innovazioni introdotte non si limitavano alla composizione drammaturgica delle commedie, ma toccavano tutti gli aspetti dell’arte scenica, come i costumi e la stessa recitazione.
Al periodo di grande splendore, che gli valse la reputazione di teatro moderno aperto a tutte le maggiori espressioni artistiche, fece seguito un inesorabile declino, quello del dopoguerra.
Era il 1962 quando fu rappresentato l’ultimo spettacolo, ″Masaniello″ con Nino Taranto.
Nel generale decadimento di gusto e costume, il Bellini fu uno specchio fedele della realtà: diventò un sudicio cinema di film a luci rosse, che trasformarono quei palchi da nobili a squallide alcove. Rifugi privilegiati di coppiette in cerca di piacere furtivo e trasgressione.
Ma il Bellini era destinato a rinascere dalle sue stesse ceneri: fu Tato Russo a sottrarlo dalla sua prossima distruzione. Ne fece la sede del suo teatro e della sua compagnia. Decise di rilevare la struttura e in poco più di un anno, superando non poche difficoltà, riportò l’edificio all’antico splendore. Con la messa in scena, nell’autunno del 1988, dell’″Opera da tra soldi″ il Bellini tornò a distinguersi come teatro.
Tato Russo ne fu il direttore artistico per ben 21 anni e sotto la sua direzione lo ha riportato all’antico riconoscimento culturale, producendo pioneristici allestimenti e spettacoli all’avanguardia.
Nel 2010 la gestione è passata ai figli dell’artista, che seguendo le orme paterne, ne hanno conservato la vocazione teatrale: il Bellini rimane il teatro camaleontico che sa coniugare la tradizione alle innovazioni dei tempi che passano.
Vanessa Vaia