Ha suscitato un certo clamore mediatico la vicenda che ha riguardato Luca Morisi, l’ex responsabile della comunicazione della Lega di Matteo Salvini, padre di quella macchina quasi perfetta soprannominata dalla stampa “la Bestia“, ora indagato per cessione di stupefacenti dopo un incontro con due giovani escort omosessuali. Nello specifico, secondo la testimonianza di uno dei due giovani, nella notte tra il 13 e il 14 agosto scorso i due ragazzi romeni avrebbero preso parte a un festino a base di droga e sesso organizzato dallo stesso SMM nella sua casa alle porte di Verona. Fermo restando che chiunque è innocente fino all’ultimo grado di giudizio, il punto della questione non è tanto l’aspetto giudiziario della vicenda bensì quello politico, o meglio, quello etico-politico.
L’ex social media manager di Matteo Salvini è la stessa persona che, nel curare la comunicazione del suo “Capitano” – è stato proprio Morisi ad attribuire questo appellativo al segretario federale della Lega – elaborava post, tweet e commenti che si scagliavano contro la droga, sottoponendo alla gogna mediatica chiunque fosse accostato a reati concernenti lo spaccio o la detenzione di stupefacenti. Matteo Salvini, nel commentare le indagini, si è lasciato andare a dichiarazione assolutamente garantiste nei confronti dell’amico e collaboratore, il quale avrebbe sbagliato ma non meriterebbe di essere esposto al pubblico ludibrio. Osservazioni impeccabili, non fosse per il fatto che la doppia morale leghista ha suscitato ilarità e disappunto da parte di coloro che tempo addietro finirono in pasto alla Bestia.
Il caso Morisi pone una serie di interrogativi sulla comunicazione politica moderna, strumento improntato al solo risultato e la cui spregiudicatezza rende estremamente semplice il rischio di finire dall’altro lato della barricata. Da predatore a preda, insomma. Questo è il destino di tutti coloro che ignorano il problema etico della comunicazione, portando alle estreme conseguenze la componente emozionale del discorso politico.
Chi è Luca Morisi e cos’è “la Bestia”
Chi c’è dietro la Bestia? Chi è il suo ideologo? Luca Morisi, 48 anni, ex docente universitario, è lo spin-doctor, cioè un consulente che promuove l’immagine pubblica del proprio leader tramite precise campagne di comunicazione e di marketing. Si occupa di Matteo Salvini dal 2013. Quell’anno, la Lega raccoglieva uno dei peggiori risultati della sua storia, uscendo fortemente ridimensionata dalle elezioni politiche.
Prima di andare oltre, però, c’è da dire che Luca Morisi non è un semplice esperto di comunicazione. Lo si può comprendere da queste parole pronunciate qualche anno fa: «posso dire che è proprio sui social media che è iniziato il passaggio dalla dimensione della vecchia Lega a quella nuova. Già dal 2014, quando Salvini ha assunto il ruolo di segretario, abbiamo iniziato a nazionalizzare la comunicazione. È lì che si è vista tutta la potenzialità che c’era. Di fatto, una rivoluzione copernicana nella Lega e posso dire che i social network sono stati fondamentali». Più che un comunicatore, quindi, il docente è un vero e proprio ideologo di un modello di Lega inedito ma di successo, capace di mutare completamente il volto del partito.
Il nome “Bestia” non è un’invenzione della stampa. Secondo uno dei consulenti di comunicazione più famosi al mondo, Alex Orlowski, sarebbero stati gli stessi dirigenti della Lega a chiamare così questo sistema, arrivando addirittura a registrare un dominio web “liberalabestia.it” nel 2016. Si tratta, in breve, di un software collaborativo per l’automazione delle attività di campagna elettorale permanente sui social, addomesticato da un team di 35 persone pagate per intercettare i sentimenti della rete, spingere le interazioni degli utenti con i contenuti e fomentare la loro emotività. La Bestia, a dispetto di quanto si potrebbe credere, usa tecniche di persuasione molto banali ma efficaci. Si passa dall’annuncio della partecipazione di Salvini a un programma tv a sovrapposizioni di foto con slogan brevi ma incisivi e su temi scottanti, passando per la derisione di un avversario politico o uno scatto di quotidianità che ha l’obiettivo di ristabilire un contatto umano con il pubblico sulla scia di un sentimento di emulazione e costruire l’immagine di un leader che è una persona comune, un “italiano medio”.
Ma le attività di Luca Morisi non si limitano alla pura e semplice consulenza d’immagine. Le strategie si elaborano dietro le quinte dell’immagine del leader, nelle stanze di coloro che gli curano ogni aspetto della vita pubblica. Ad esempio, ci sono gli utenti che, una volta conquistati dalla propaganda, diventano un esercito da mobilitare a fasi alterne. Si riuniscono in fan-base e funzionano da cassa di risonanza per tutto ciò che concerne il Capitano, condividendo notizie, commentandole e diffondendole.
Ad accompagnare l’attività della Bestia c’è un ecosistema che si autoalimenta di strutture semplici e complesse allo stesso tempo. Questo è il caso della mailing list, uno strumento datato ma apprezzato dagli algoritmi del web. Ma ci sono anche le operazioni di marketing politico su TikTok, come il video dove il leader si muoveva a ritmo di musica.
Assieme al marketing, però, ci sono anche i concorsi. Si tratta dell’ennesima innovazione introdotta da Morisi, sulla scia della sua prima operazione del 2014 intitolata “diventa portavoce di Salvini“. Questa volta il giochino è puro e semplice: più like metti ai post del capitano, più possibilità hai di vincere un incontro con lui, oppure una telefonata o ancora un caffè. Il Vinci Salvini, per cui era stato creato uno spot inserito in tutti i video e condiviso spasmodicamente sui profili social del segretario, è stato uno dei più autentici esempi di gamification applicati alla politica (un’attività non esente da rischi). Un modo per rendere originale la campagna elettorale ma anche utile per raccogliere adesioni e informazioni utili.
Infine, alla base del successo di questa macchina perfetta nota come la Bestia, c’è la condivisione dei contenuti. Non solo social, ma anche televisione, radio e territorio. Ciò che distingue l’apparato di comunicazione del leader leghista da quello degli altri politici è la capacità di mobilitare l’elettorato sia dietro uno schermo che in piazza. Uno degli esempi più evidenti è stata la manifestazione del 19 ottobre 2019, quella successiva alla fine del governo giallo-verde. Per quell’occasione fu scelta Piazza del Popolo, a Roma, e la campagna preparatoria fu organizzata sui social attraverso una minuziosa operazione di mobilitazione.
La Bestia rappresenta uno degli strumenti di propaganda politica più pervasivi degli ultimi anni, una macchina capace di portare il consenso di un partito dal 4% al 34% nel giro pochissimi anni e di costruire un leader da zero, manipolando la psicologia degli elettori attraverso i social, elaborando dati e sfruttando, al contempo, il clima politico contingente. Luca Morisi, insomma, ha unito i caratteri del populismo a quelli di una comunicazione politica in chiave moderna, sfruttando le contraddizioni degli uomini e dei social. Bisogna ricordare, però, che la Bestia è pur sempre uno strumento tecnico messo a disposizione della politica.
Da predatore a preda: ecco la “comunicazione moderna”
Non è difficile comprendere che alla Bestia dell’etica non interessa molto. Ma in questo caso, la questione è politica, non tecnica. Quell’azione così spregiudicata di “sbattere il mostro in prima pagina” ha come unico fine quello di creare consenso attraverso una mobilitazione ideologica, servendosi di uno strumento puramente tecnico-matematico. Il risultato è scontato, così come è scontata la possibilità di cadere in contraddizione nel caso in cui il predatore dovesse diventare la preda.
Infatti, le prime reazioni allo scandalo – vero o montato ad arte non importa in questo caso – che ha colpito l’ex consulente di Matteo Salvini hanno riguardato non il reato, bensì il lavoro svolto finora da Morisi, cioè quella politica muscolare intrisa di un moralismo sfrenato e condita da campagne d’odio nei confronti di chiunque si presti all’operazione di consenso, minori compresi. Proprio come è capitato con alcuni personaggi finiti al centro del polverone salviniano, come Stefano Cucchi e sua sorella Ilaria, non contano i fatti in sé, bensì le associazioni che la macchina propagandista è capace di tirare fuori. Il giovane geometra non è morto per le percosse dei carabinieri bensì a causa della droga (“la droga fa male“, come recitava Salvini in un’intervista). Lo stesso metodo è stato usato nei giorni scorsi per parlare delle vicende che hanno interessato Luca Morisi.
Garantismo e giustizialismo lasciano il tempo che trovano. Al centro del discorso c’è qualcosa di meno concettuale. La Lega negli ultimi anni ha sfruttato le emozioni, adottando una comunicazione alla cui base ci sono gli istinti e le interpretazioni emozionali degli eventi. Il problema etico che deriva da tutto ciò è evidente ed è venuto fuori proprio nel peggiore dei modi per Matteo Salvini: il voler usare due pesi e due misure quando al centro di “una Bestia” – e non quella “morisiana” – finisce un suo collaboratore.
La comunicazione moderna è polarizzata ed emotiva, non trasmette idee ma posizioni preconfezionate da assumere per partito preso. È più conveniente cavalcare un problema degli avversari che presentare una soluzione: una dinamica che vede dalla propria parte il giusto e dall’altro lato il torto, indipendentemente dall’argomento. In un contesto così descritto, in cui la moderazione è ormai un ricordo e le idee un orpello, è estremamente facile diventare prede dopo essere stati predatori. Soprattutto sui social.
Donatello D’Andrea