Nel secondo dopoguerra si è parlato di colpa collettiva del popolo tedesco rispetto ai crimini nazisti. In realtà, non mancarono azioni di resistenza anche estrema come dimostrano i numerosi attentati alla vita del Fuhrer (dai quali uscì sempre – talvolta miracolosamente – illeso). O si pensi alle infuocate prediche del beato von Galen, il “leone di Münster”, contro il nazionalsocialismo e la sua aberrante eugenetica. Fu la sua la più forte voce di opposizione in Germania che il regime non riuscì mai a reprimere grazie al consenso popolare creatosi intorno alla figura del vescovo. Anche se in molti pagarono con la persecuzione la loro opera di diffusione clandestina delle omelie.

Le parole di Von Galen arrivarono anche a Monaco, la “culla” del movimento hitleriano, ispirando un gruppo di studenti universitari. Nacque così la Rosa Bianca, non un’organizzazione ma una “rete di amicizia” secondo la definizione di Paolo Ghezzi. Erano ragazzi e ragazze che si incontravano per discutere e confrontarsi, con l’intento di sottrarsi al soffocante conformismo ideologico che dominava anche l’università. Era un gruppo ecumenico che raccoglieva orientamenti religiosi diversi. Tra gli animatori del gruppo – oltre il professore di filosofia Kurt Huber (cattolico) – vi erano gli studenti Hans e Sophie Scholl (evangelici), Cristhoph Probst, Alexander Schmorell (ortodosso), Willi Graff (cattolico), e Hans Carl Leipelt.

Appartenevano quindi alla Rosa Bianca cattolici, evangelici, ortodossi e non credenti. Tutti uniti dall’amore per la libertà, in un mondo che aveva dato a quest’ultima un significato del tutto diverso. I fratelli Scholl vissero anche il dramma del tradimento della Chiesa evangelica tedesca che arrivò ad includere nella sua teologia il mito della razza ariana. Ribellandosi alla nazificazione della scienza e della cultura, riuscirono ad entrare in contatto con il resto della cultura europea. I loro interessi erano eminentemente culturali ma finirono inevitabilmente con l’assumere anche un aspetto politico. Nessun risveglio culturale e morale del popolo tedesco sarebbe stato possibile senza la riappropriazione delle parole. Da qui i sei volantini di durissima critica al regime hitleriano definito come “dittatura del male”, guidata da un “dilettante” che stava conducendo il popolo tedesco alla rovina.

Un semplice regime dittatoriale avrebbe potuto anche ignorare le provocazioni di quei ragazzi, ma non uno Stato totalitario. I membri della Rosa Bianca sapevano quindi di andare incontro all’arresto. Hans e Sophie furono catturati all’università, dopo aver lanciato dal parapetto dell’atrio tutti i volantini. “Catturati – ha scritto Ghezzi – in una scena da «Getsemani», senza opporre resistenza, in mezzo a centinaia di studenti allibiti e muti”. Il tribunale del popolo, nel 1943, condannò a morte i sette esponenti di spicco con l’accusa di alto tradimento. Pur non potendo imputare loro nessun atto di violenza, quei volantini bastarono a provare il tentativo di sabotaggio ideologico (il peggior crimine immaginabile per il Reich in guerra). I fratelli Scholl furono decapitati con una mannaia, tutti gli altri impiccati. Sophie usò il retro della sua condanna a morte per scrivere ripetutamente quella che era stata la loro parola d’ordine: Freiheit, “Libertà”. Cristhoph Probst ricevette invece il battesimo un’ora prima dell’esecuzione.

Il grande teologo Romano Guardini fu – insieme a Maritain – una delle guide della Rosa Bianca. Nelle sue opere trovarono un argine alla disumanità nazista, per questo – sebbene non si fossero mai conosciuti di persona – fu chiesto proprio a Guardini di tenere due discorsi di commemorazione (tenuti nel 1945 e nel 1958). Il teologo colse l’occasione per analizzare il significato profondo dell’operato dei fratelli Scholl e dei loro amici. Alieno da ogni sentimentalismo, Guardini li presentò come persone normali, del tutto ordinarie. Non dei romantici né degli utopisti, ma “cristiani per convinzione” schieratisi dalla parte della libertà e della verità. Secondo Guardini, solo la motivazione religiosa poteva spiegare una ribellione che sembrava umanamente senza speranza. Essa infatti, nella sua “tragica purezza”, era stato subito soffocata con violenza. Il loro gesto andava quindi considerato più come un sacrificio, compiuto prima di tutto davanti a Dio. Il suo significato più profondo non stava quindi nella possibilità di una realizzazione immediata, quest’ultima era solo una speranza affidata nelle mani di Dio “affinchè Egli lo inserisca nel grande conto del mondo, dove Egli vuole”.

Ettore Barra

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