C’è una parte di Italia fatta di migranti sgomberati con gli idranti, c’è un’ Italia che dice “aiutiamoli a casa loro” e c’è un’altra Italia, un’ Italia silenziosa, un’ Italia dove casa nostra e casa loro sono lo stesso posto.
Petruro Irpino è un piccolo paesino della provincia di Avellino, cuore di montagna di un Sud dove Cristo non è mai passato. Con i suoi 363 residenti, che lo rendono il paese meno abitato della provincia, Petruro ha subito un significativo calo demografico a partire dagli anni 50 con le migrazioni dalla campagna alla città che hanno caratterizzato il boom economico. Terra di emigrazione ora proprio dal migrare sembra ripartire diventando luogo di immigrazione.
Da luglio 2016, infatti, il Comune di Petruro con la Caritas di Benevento, ha dato vita ad uno SPRAR (sigla che sta per Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati) che ospita sette nuclei familiari provenienti da El Salvador, Nigeria e Afghanistan.
Camminando per le strade capita così di incontrare Victory, arrivato con la sua mamma dalla Nigeria e diventato la mascotte del paese. Tra gli abitanti di Petruro c’è chi cerca di fargli fare il tifo per l’Avellino e chi come zi’ Ngiulina, dopo una vita passata a coltivare la terra, mai avrebbe pensato di trovarsi lui come vicino di casa.
Quando Mariella, figlia di padre ghanese e mamma nigeriana, non mangia le signore del paese si adoperano a trovare ognuna una possibile spiegazione e la domanda che serpeggia tra i vicoli diventa una soltanto: “Ha mangiato oggi Mariella?”
Mentre al battesimo di Marvelous c’è un’intera comunità a fare festa il sindaco dall’altare parla di un paese che ha riacquistato vita proprio grazie a loro, grazie ai bambini.
Oppure capita di trovare zio Ubaldo, che con i migranti ha scoperto la passione per il teatro, diventando attore insieme a loro in un laboratorio teatrale finito lo scorso giugno con una rappresentazione nella piazza del paese nell’ambito del festival “Porti di terra” che ha portato a Petruro responsabili delle ONG e stampa nazionale a parlare di ciò che qui viene praticato tutti i giorni: buona accoglienza.
Due parole attorno alle quali tanto viene scritto e detto e che questo borgo incastrato tra le montagne con i suoi abitanti dalle mani ruvide e gli occhi stanchi di lavoro ha dimostrato che non sono un’utopia.
Petruro, un paese in cui nel 2016 oltre il 30% degli abitanti superava i sessantacinque anni d’età e solo il 10% ne aveva meno di quattordici sembrava destinato a scomparire sotto i colpi d’ascia della globalizzazione, sembrava rimasto lì come un presepe, a testimonianza di un passato che ora non c’era più. Oggi, invece, ha dimostrato di non essere soltanto questo, di non poter essere ridotto al ruolo di presepe da ammirare, ma di essere un posto non solo geografico che ha molto da insegnare.
Insegna, infatti, alle città globalizzate dei migranti rastrellati, un modo diverso di fare comunità, basato su legami di solidarietà e vicinanza.
Insegna che i migranti non sono un problema, ma una risorsa e che le guerre tra poveri servono soltanto a chi sui poveri specula, che si possono scoprire radici comuni proprio nelle esperienze di povertà e migrazione.
Forse zio Ubaldo e Victory non lo sanno, così come non lo sa Sheev, che con il suo papà va a lezione di italiano, ma camminando qui si ha davvero l’impressione che quell’altro mondo possibile non sia poi così lontano.
Giulia Tesauro