Il 15 dicembre 2017 il Washington Post riportava che il governo Trump aveva indicato una lista di parole “non gradite” per quanto riguarda la ricerca medica. È stato il CDC, l’organo più importante della sanità pubblica negli Stati Uniti, a vedersi vietare le seguenti parole: “vulnerable”, “entitlement”, “diversity”, “transgender”, “fetus”, “evidence-based” e “science-based” (vulnerabile, diritto, diversità, transgender, feto, basato su prove, basato sulla scienza).

Secondo l’articolo del Post, per diverse parole alla CDC non sarebbero stati indicati termini alternativi, ma forse è meglio così. Infatti, quando un’alternativa è stata proposta, come è accaduto per sostituire le espressioni “basato sulla scienza” e “basato su prove”, il risultato si è rivelato imbarazzante: la frase che i centri del CDC dovrebbero usare è “la CDC basa le sue raccomandazioni sulla scienza tenendo in considerazione gli standard e i desideri della comunità”.

Questo atteggiamento riportato dal Post ricorda quanto è accaduto in estate riguardo all’espressione “climate change” e ad altre riferite al cambiamento climatico.

 

Il Guardian era riuscito ad ottenere alcune email scambiate tra membri dello staff dell’NRCS, il Servizio per la Conservazione delle Risorse Naturali, un’unità del Dipartimento dell’Agricoltura statunitense (USDA). In questo caso, alcune delle espressioni da sostituire erano le seguenti:

– “climate change” doveva diventare “weather extremes” (condizioni climatiche estreme);

– “sequestrare il carbone” doveva lasciare il posto a “produrre materia organica per il suolo”;

– a “ridurre i gas da effetto serra” era preferito “produrre materia organica, aumentare l’efficienza nell’utilizzo dei nutrienti”.

Riportiamo le ultime due per sottolineare come verbi quali “ridurre” (“reduce”) e “sequestrare” (“sequester”), indicanti un’operazione sottrattiva, un divieto, una restrizione, siano stati sostituiti con forme “positive”, che parlano di “aumentare” e “produrre” (più letteralmente “costruire”, “build”). Sicuramente la scelta di queste espressioni “da vincente”, potremmo dire “propositive”, fa parte dello “stile Trump”, quella fiducia in sé stesso, quella sicurezza (che a volte si traduce in scelleratezza) che ha garantito all’imprenditore americano la vittoria alle elezioni. Nel caso della crisi climatica come in altri, però, non si tratta soltanto di espedienti retorici. Infatti, “produrre materia organica” non è un sinonimo di “sequestrare il carbone”.

Il divieto di usare le sette parole nel CDC è stato definito un “attacco orwelliano”. Sembrerebbe che Trump abbia deciso, neanche con troppa sottigliezza, di mettere il bavaglio all’informazione scientifica. La notizia è stata riportata anche su nostri quotidiani, come La Repubblica, ma c’è un’altra opinione sui fatti accaduti, che, bisogna dirlo subito, non fa comunque ben sperare.

Secondo Slate, infatti, la censura non arriverebbe dall’alto, dal governo Trump, quanto piuttosto dagli stessi burocrati del CDC, preoccupati di rendersi più appetibili quando sarà tempo di erogare fondi ed effettuare tagli. Insomma, i funzionari del CDC hanno pensato che l’uso di certe parole come “transgender” e “basato sulla scienza” potrebbe non risultare gradito a chi deve scegliere come stanziare i fondi. Non una censura, quindi, ma un’autocensura.

Slate, però, pecca di ottimismo quando afferma: “Qualcuno dirà che la censura può essere comunque pericolosa, anche quando non è imposta. Questo non è chiaramente il caso. Quello che stiamo vedendo da parte della CDC non è un tentativo di sopprimere ricerche sgradite, quanto piuttosto quello di nasconderlo sotto un eufemismo.” È qui che bisogna essere allarmati per due ragioni: non dovrebbe essere necessario nascondere la ricerca scientifica sotto alcun eufemismo, non secoli dopo che Copernico fu costretto a presentare le sue scoperte solo come speculazioni per sfuggire alla censura. 

Il secondo motivo di preoccupazione è l’accettazione di una parola per un’altra, dell’eufemismo per la cosa vera, una fuga dalla concretezza che è sempre pericolosa. In questo senso è sufficiente pensare ai tentativi di trasformare “la festa della liberazione dal nazifascismo” nella “festa della libertà”. È ridicolo che si debba ricorrere a citare sempre la frase di Nanni Moretti sull’importanza delle parole, eppure appare doveroso ricordare che “le parole sono importanti” (negli Stati Uniti è stato George Carlin a criticare l’eccessiva presenza di eufemismi nell’inglese contemporaneo [Carlin parla di ‘soft language’]; illuminante la sua ricostruzione di come si sia arrivati dall’espressione ‘shell-shocked’ a ‘post-traumatic stress disorder’ per riferirsi alla condizione di chi, in seguito ad esperienze di guerra, si ritrova con il sistema nervoso completamente a pezzi.)

 

Il poeta cileno Nicanor Parra definì gli Stati Uniti “il paese dove la libertà è una statua” e la guerra alle parole dell’amministrazione Trump (o, peggio, l’autocensura) non sorprende più di tanto. Già negli anni Settanta, infatti, il già citato Carlin si esibiva in uno stand-up nel quale parlava di sette parole che non si potevano dire in televisione (e ricorre il numero sette: che sia un retaggio puritano e un riferimento ai sette peccati capitali?). Oggi, però, di questa (auto-?)censura alle parole nel CDC, un vero e proprio attacco alla scienza, difficilmente troveremo qualcosa da ridere.

 

 Luca Ventura 

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