Eleonora Pimentel Fonseca Repubblica Napolitana

Era il 21 gennaio 1799. A Napoli veniva proclamata ufficialmente la Repubblica Napolitana in seguito alla conquista, il 19 gennaio, di Castel Sant’Elmo da parte dei rivoluzionari. Una parentesi storica di breve durata, il cui termine sarà dettato dalla sconfitta dei repubblicani, il 13 giugno dello stesso anno, durante l’ultima battaglia al Ponte della Maddalena – nonostante l’estenuante resistenza del Forte di Vigliena -, e
dalla resa, nei giorni successivi, degli ultimi forti cittadini a favore della repubblica: Castel dell’Ovo e Castel Nuovo.
Eroina indiscussa di quest’orgoglioso momento storico della tradizione partenopea è Eleonora de Fonseca Pimentel. Nata a Roma da famiglia portoghese, la Pimentel, all’anagrafe Leonor da Fonseca Pimentel Chaves, viene ricordata con il suo nome italianizzato adottato nelle residenze famigliari di Roma e Napoli. Amante della conoscenza e della cultura, per i suoi meriti letterari, ottenne l’accesso alla Corte di Ferdinando IV e Maria Carolina d’Austria che le concesse, nel 1785, persino il sussidio di bibliotecaria della regina.

Eleonora_Fonseca_Pimentel repubblica Napolitana Il Monitore
Donna Lionora, Eleonora Pimentel Fonseca

Il legame tra le due donne era alimentato dalla condivisione degli ideali illuministi ma si interruppe in seguito al sopraggiungere, dalla Francia, delle spiacevoli notizie riguardo ai risvolti della Rivoluzione e, dunque, alla morte della sorella della regina, Maria Antonietta. Maria Carolina, baluardo di un illuminismo dispotico, aveva visto come tradimento l’inneggiare dei circoli intellettuali ad una monarchia moderata che, a quel punto, lasciava spazio al sogno repubblicano. E, volendosi vendicare dei giacobini che avevano mandato a morte la sorella, diede inizio alle persecuzioni dei sovversivi. Alla Pimentel venne revocato il sussidio di bibliotecaria dopo che furono rinvenute in casa sua alcune copie dell’Encyclopédie di Diderot: imprigionata e condotta nel carcere della Vicaria con l’accusa di giacobinismo, fu liberata all’inizio del 1799 durante il periodo di anarchia creatosi a Napoli dopo la fuga del Re e della corte a Palermo.

Vestita da uomo, lottò per la presa di Castel Sant’Elmo e fu tra i fieri combattenti che, pochi giorni dopo, proclamarono la Repubblica Napoletana, «una e indivisibile». Al fine di diffondere gli ideali rivoluzionari e repubblicani , la Pimentel, per volere del governo provvisorio, accettò la direzione del primo giornale politico di Napoli: il Monitore Napolitano, periodico bisettimanale il cui primo numero apparve in data 2 febbraio 1799 e restò in circolo fino al numero 35, dell’8 giugno successivo.

«Siam liberi in fine, ed è giunto anche per noi il giorno, in cui possiam pronunciare i sacri nomi di libertà, e di uguaglianza, ed annunciare alla Repubblica Madre, come suoi degni figliuoli; a’ popoli liberi d’Italia, e d’Europa, come loro degni confratelli.»
(Dal primo numero del Monitore Napolitano)

Il Monitore si occupava, in sezioni distinte, di riportare le notizie ufficiali della Repubblica, gli avvenimenti provenienti dalle province e le notizie estere.

Eleonora Pimentel, consapevole della responsabilità che ricoprivano gli intellettuali nella formazione del popolo, cercò in ogni modo di adempiere al suo compito di educatrice e scuotitrice d’animi e d’intenti, ammettendo che «la plebe diffida dei patrioti perché non gl’intende». Dunque, fece suo il tentativo di riequilibrare le differenze sociali – simbolicamente decise di abbandonare il de nobiliare del suo cognome: scrisse personalmente gran parte dei numeri in uscita del Monitore al fine di avvicinare le masse a concetti democratici ed egualitari ma ottenne, come unico risultato, il solo inasprimento dei Borbone nei suoi confronti.

E, quando nel giugno dello stesso anno le truppe del Cardinale Ruffo si presentarono alle porte di Napoli, la Repubblica tremò: la Pimentel, nel tentare la fuga, si rifugiò a Sant’Elmo senza riuscire ad eludere l’esercito ed evitare l’arresto. Il processo si tenne il 17 giugno ed Eleonora Pimentel fu condannata per aver osato parlare e scrivere contro il potere regio.

La seconda metà del XVIII secolo si contraddistingue, quindi, per le entusiaste rivolte delle numerose correnti democratiche che portarono alla nascita delle repubbliche giacobine, costituitesi tra il 1797 e il 1799 nell’Italia centrosettentrionale e a Roma. A Napoli, l’evento scatenante fu l’occupazione francese di Roma nel 1798 che portò i Borbone ad allearsi con l’Austria, lo  straniero, e i circoli di spirito rivoluzionario ad armarsi.

Dunque, quello della Repubblica Napolitana fu un tentativo di conquista di un’identità patriottica fortemente sentita ma non ancora plasmata ad immagine e somiglianza dei veri cittadini dal cuore partenopeo. Fu un azzardo alla gloria e una lotta per la libertà dai soprusi, che costò la morte di più di 3000 popolani e la condanna dei patrioti e di quegl’intellettuali che avevano creduto nel cambiamento, un cambiamento che, d’altra parte, non conveniva al potere in auge e spaventava le masse. Se solo avessero creduto davvero, se solo avessero compreso e sostenuto la causa, il conto delle perdite non sarebbe stato così grave e del tutto vano.

Ma la possibilità che la lotta potesse rivelarsi strumento e veicolo di una futura consapevolezza restò l’unica speranza della Pimentel che, il 20 agosto, salendo al patibolo, mentre il boia le stringeva il cappio al collo, pronuncio un celebre verso virgiliano:
«Forsan et haec olim meminisse iuvabit» (Eneide, I, 203),
“Forse persino queste cose un giorno gioverà ricordare”.

Pamela Valerio

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