Il 4 marzo, con la risoluzione 2270, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha ordinato nuove e pesanti sanzioni contro la Corea del Nord, sperando così di far abbandonare al dittatore Kim Jong-un il suo programma nucleare.

Le sanzioni arrivano dopo il test nucleare del 6 gennaio e la recente esercitazione balistica del 7 febbraio, attività «in violazione e flagrante noncuranza» delle precedenti limitazioni imposte, come si legge dal comunicato.
La risoluzione 2270 è la quinta azione limitante del Consiglio contro la Corea del Nord, dopo le precedenti 1718, 1874, 2087 e 2094, espresse dal 2006 al 2013.

Il Segretario Generale Ban Ki-moon si è detto fiducioso riguardo a quest’ultimo ordine di sanzioni, varate all’unanimità grazie all’appoggio decisivo della Cina, egli ha infatti dichiarato: «l’azione unanime del Consiglio di Sicurezza ha mandato un chiaro messaggio, la Corea del Nord deve tornare a collaborare e ad adempiere ai suoi obblighi internazionali. […] Ciò dovrebbe mettere la parola fine al circolo vizioso delle provocazioni e condurre al dialogo in accordo con una visione unificata della comunità internazionale».

Le misure adottate

L’embargo già fortemente limitante ordinato nella scorsa risoluzione viene ampliato e reso maggiormente incisivo, al punto che numerosi commentatori statunitensi hanno parlato apertamente delle “sanzioni più dure prescritte negli ultimi anni“.
In particolare rispetto ai precedenti provvedimenti viene ordinata la perquisizione di ogni cargo proveniente o destinato alla Corea del Nord qualunque sia il suo scopo dichiarato, mentre prima l’ispezione era possibile solo nel caso in cui il carico venisse considerato «sospetto». Viene ordinato poi il divieto delle esportazioni di oro, carbone, ferro, titanio e terre rare, mentre riguardo alle importazioni viene vietata la vendita alla Corea del Nord di combustibile per aviazione.
Ma una delle misure più vincolanti è ancora il congelamento di ogni fondo direttamente o indirettamente controllato da una lista di individui e società stilata dal Consiglio. La lista è stata implementata e prevede ora una decina di obiettivi in più. Figurano tra i tanti anche il governo nordcoreano e il Partito dei lavoratori di Corea. Il congelamento sarà vigente solo nel caso in cui venga dimostrato che tali risorse sono destinate al programma nucleare di Kim Jong-un.
Riguardo invece alla vendita di armi, viene ordinata ancora una volta la cessazione di ogni trasferimento che sia sospettato di aumentare il potenziale bellico nord-coreano, una misura già presente nelle prime limitazioni del 2006.

Le reazioni alla sanzione

Kim Jong-un ha ovviamente osteggiato da subito il nuovo provvedimento, definito un «atto criminale internazionale», e ha risposto prontamente alle limitazioni con il lancio di 6 missili a corto raggio nel Mar del Giappone. Un’ennesima prova di forza alla quale è seguito un inquietante virgolettato ripreso in questi giorni da stampa di regime e media internazionali: il dittatore avrebbe dato ordine ai suoi militari di «tenersi pronti ad un attacco nucleare».
Nel mirino Corea del Sud e Stati Uniti, che però non sembrano preoccupati più di tanto da quello che ritengono essere un bluff finalizzato ad ottenere maggior forza contrattuale.
Sulla natura di questo bluff si è interrogato però, seppur in maniera abbastanza indiretta, il Global Times.
In più di un articolo del quotidiano cinese si nota una sincera approvazione dell’operato del Consiglio di Sicurezza, ma vengono altresì poste in evidenza, per così dire, le “ragioni” di tali diffuse minacce nord-coreane: «Noi comprendiamo pienamente il senso di insicurezza di Pyongyang, se confrontato con le pressioni militari di Washington e Seoul», una delle considerazioni più esplicite in merito.

Ricordiamo che la Cina è il principale partner commerciale della Corea del Nord, e che in un certo senso votando a favore di queste nuove limitazioni si è in qualche modo auto-danneggiata. Ciò non toglie che queste considerazioni debbano essere comunque discusse, perché la ricerca di un compromesso non può prescindere dall’ascoltare le ragioni dell’una e dell’altra sponda del conflitto. Bene le sanzioni, ma sia chiaro che le tremende minacce di Kim Jong-un fanno parte di una strategia di difesa contro le intromissioni politiche e militari di potenze che, oltre alle sanzioni, non promettono altro.

Valerio Santori
(twitter: @santo_santori)

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.