In un rapporto pubblicato il 27 aprile 2017, dal titolo «Information operations and Facebook», il colosso di Mark Zuckerberg ammette che c’è la Russia dietro la creazione di fake news e il furto e la manipolazione di dati sensibili di Hillary Clinton su piattaforme informatiche, in occasione delle elezioni presidenziali del 2016. In sostanza, Facebook sostiene di non poter contraddire i dati forniti il 6 gennaio 2017 dal direttore dell’Intelligence nazionale statunitense. Inoltre la società americana dichiara di aver bloccato circa 30 mila account falsi in Francia durante la campagna elettorale per le presidenziali.
L’ammissione avviene a pagina undici di un rapporto, lungo tredici pagine, in cui Facebook analizza le dinamiche con le quali sul social vengono condotte delle vere e proprie campagne per influenzare i consensi attraverso la creazione di fake news, meme razzisti e account falsi.
Il rapporto di Facebook prende in considerazione tre metodi principali attraverso le quali vengono condotte le information operations: targeted data collection, ovvero l’acquisizione e la manipolazione di informazioni private da rendere pubbliche; la creazione di contenuti falsi o manipolati da veicolare attraverso profili falsi organizzati in veri e propri network; amplificazione delle notizie false o manipolate attraverso l’apertura di gruppi social di astroturfing, una tecnica di marketing che consente di alterare le percezioni degli utenti su una campagna, un partito o un gruppo politico attraverso la condivisione spasmodica di giudizi positivi sul «prodotto» che si intende sponsorizzare, creando così, a tavolino, un consenso dal basso. La società statunitense non esclude che possano essere usati anche media tradizionali per veicolare notizie false.
Per ciò che riguarda l’amplificazione delle fake news, il rapporto di Facebook stila una lista di segnali che possono mettere in guardia gli utenti da notizie create ad arte per influenzare consensi. Si va dalla creazione di massa di profili falsi alla condivisione simultanea e ripetitiva di contenuti sia su gruppi sia su profili personali, passando per l’utilizzo coordinato di likes e reazioni ai post intorno ai quali si vuol far ruotare la propria campagna. Mentre su altre piattaforme l’amplificazione delle fake news è automatizzata con l’uso di strumenti informatici, su Facebook il tutto avviene grazie a persone in carne ed ossa che, coordinate tra loro, bombardano pagine e gruppi con i contenuti falsi o manipolati che vogliono veicolare. In alcuni casi c’è una vera e propria piramide di profili falsi al cui vertice si trova una persona, mediamente istruita e informata sulla situazione politica del paese «bersaglio», che dà indicazioni su come e dove condividere le fake news alle persone poste alla base.
Gli obiettivi perseguiti dai creatori e diffusori di fake news su Facebook sono diversi e spaziano dalla politica alle frodi finanziarie, anche se il rapporto rivela che, almeno sulla piattaforma creata da Zuckerberg, in genere queste campagne sono dettate da motivazioni politiche e più raramente da motivazioni economiche.
Facebook annuncia nuove misure per salvaguardare gli utenti dal furto di password di accesso ai propri account, come la previsione di opzioni multiple per l’individuazione di due fattori per autentificarsi e accedere alle proprie pagine. Contestualmente monitorerà con maggiore attenzione le informazioni veicolate attraverso la propria piattaforma e studierà nuovi sistemi per segnalare fake news.
In una società in cui le informazioni girano sempre più velocemente e tutti siamo potenzialmente dei media di trasmissione di notizie, non è facile trovare soluzioni che garantiscano da un lato la qualità e la veridicità dei contenuti postati e, dall’altro, non incappino in meccanismi di censura.
In futuro le notizie saranno destinate a circolare in prevalenza su internet, con un sistema di fonti sempre più variegato e sempre meno controllabile. Mai come in questo periodo storico appare fondamentale riconoscere il diritto all’alfabetizzazione informatica, soprattutto in un paese come l’Italia in cui meno della metà della popolazione possiede competenze informatiche di base (47%). Al di là di tutte le strategie normative che potranno essere messe in campo, il nodo resta sempre lo sviluppo di una cultura digitale che consenta alle persone di potersi districare in autonomia nel mare magnum dell’informazione sul web, imparando a distinguere le fake news dalle notizie documentate e supportate da fonti credibili. L’alternativa è delegare a Governi e multinazionali come Facebook la certificazione della veridicità delle notizie, con tutti i rischi e le conseguenze che una soluzione del genere si porterebbe dietro.
Mario Sica