C’era una volta un muro che separava una città in due. Quella città si chiamava Berlino, e di unito, in quel luogo, vi era solo il cielo sopra di lei.

Il 9 Novembre 1989, quel muro, costruito nel 1961, simbolo dell’incomunicabilità tra Occidente e Oriente, crollò. E la città fu di nuovo unita come il suo cielo. Eppure è doveroso ricordare tutta la sofferenza che quella mutilazione ha provocato al popolo tedesco,  prima della riconquista della propria libertà.

Nel 1987, in quel cielo unito su quella città divisa, Wim Wenders immaginò due angeli,  divenuti protagonisti del film Il cielo sopra Berlino”.

Cassiel e Damiel vagano per le strade di Berlino, ascoltano i pensieri di quel popolo barbaramente lacerato, e da questi si lasciano avvolgere completamente. Ascoltano dunque il peso della vita di quelle persone, senza poter far nulla per alleviarlo. Entrambi sono impotenti, intrappolati in quel mondo spirituale, rigorosamente bianco e nero, e incapaci di qualsiasi interazione con il mondo fisico. Sono vicini a loro eppure così lontani.

Quel popolo è solo, sperduto, straniero nella propria città. Si cerca nel passato di quelle strade, eppure non riesce a riconoscersi. Angoscia e solitudine lo schiacciano e lo avvinghiano.

Impotente, Cassiel assiste al suicidio di un giovane deluso e amareggiato dalla vita; girovagando per le strade della città, si imbatte in un anziano lettore dell’Odissea alla ricerca dei luoghi della sua giovinezza. Come un cantore di pace, egli spera nella fine di tanta inutile sofferenza e vaga nella sua Berlino, in cui si sente straniero, ritrovando davanti a sé soltanto il muro.

Damiel, invece, durante il suo peregrinare, inciampa nei pensieri di Marion, una giovane trapezista. Sperduta nel mare della vita, sente di non avere uno scopo. Dilaniata dall’angoscia di esserci, si sente sola lì, a Berlino, dove “non ci si può perdere, in ogni caso si arriva sempre al muro”; l’angelo finisce per innamorarsi della giovane donna, e con l’appoggio di Peter Falk, che nel film interpreta sé stesso, decide di “tuffarsi nella storia del mondo” e di guardarlo finalmente non dall’alto ma ad altezza d’occhio, rinunciando alla sua immortalità.

Ed è in quel momento che le immagini si colorano. Il mondo assume la sua vera forma, il suo vero sapore, e così Damiel si libera di quella trascendenza angelica, che aveva il filtro bianco e nero.

Allo stesso modo, in quel Novembre del 1989, Berlino è tornata ad essere una città a colori e tutti i tedeschi sono tornati ad essere bambini:

“ Quando il bambino era bambino,

non sapeva d’essere un bambino.

Per lui tutto aveva un’anima,

e tutte le anime erano tutt’uno.”

Ecco. Finalmente tutte le anime divennero ancora una volta tutt’uno, sotto il cielo unito della città che un tempo era divisa.

Gabriella Valente

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