Un gruppo di ricercatori austriaci ha dimostrato che il metano rintracciato dalla sonda Cassini nei geyser di Encelado, una delle principali lune di Saturno, potrebbe essere stato prodotto da particolari batteri analoghi a quelli terrestri.
Correva l’anno 2005 quando, per la prima volta, la sonda Cassini riprendeva un getto di particelle ghiacciate proveniente dalla superficie della luna di Saturno. L’analisi del geyser, emesso da una zona prossima al polo sud di Encelado, rivelò la presenza di vapore acqueo, azoto, anidride carbonica e metano. Come spiegare un simile fenomeno, mai osservato prima al di fuori della Terra?
Gli scienziati ipotizzarono l’esistenza di una vasta massa di acqua liquida sotto la superficie ghiacciata del pianeta: una vasta sorgente idrotermale che, con la giusta dose di calore e di pressione, potesse schizzare con violenza direttamente nello spazio. I successivi passaggi ravvicinati della sonda hanno confermato l’esistenza di un profondo oceano di acqua salata, forse d’estensione globale ma evidentemente impossibile da fotografare.
A quel punto gli astrobiologi cominciarono a domandarsi se un ambiente simile potesse essere favorevole alla proliferazione delle più semplici e rudimentali forme di vita. L’esperimento appena completato sembrerebbe confermare quest’ipotesi: dei ricercatori austriaci, il cui studio è stato pubblicato sulla rivista Nature Communications, dopo aver ricreato in laboratorio le condizioni ambientali presenti nel sottosuolo di Encelado hanno constatato che un antico batterio metanogeno presente sulla Terra è stato in grado di proliferare.
Il Methanothermococcus okinawensis è riuscito a trasformare l’idrogeno (H2) presente nella soluzione in metano (CH4), il gas rintracciato da Cassini nella composizione dei geyser del satellite. Questo particolare tipo di batterio, che anziché servirsi dell’ossigeno si nutre di anidride carbonica, avvia una particolare reazione che prende il nome di metanogenesi: CO2 + 4 H2 → CH4 + 2H2O. Lo studio ha inoltre dimostrato che i fenomeni di alterazione delle rocce di Encelado producono idrogeno a sufficienza per alimentare il ciclo suddetto.
Gli scienziati hanno precisato che tale simulazione non dimostra con certezza l’esistenza della vita su Encelado: la presenza di metano nei geyser potrebbe anche derivare interamente da processi geochimici ed escludere del tutto la reazione (biologica) della metanogenesi. Tuttavia, lo studio in questione potrebbe incentivare le agenzie spaziali a finanziare missioni con lo specifico obiettivo di rintracciare la vita nel sottosuolo di Encelado o di altri simili corpi celesti.
L’obiettivo di Cassini, nata da una collaborazione della NASA, dell’Agenzia Spaziale Europea e dell’Agenzia Spaziale Italiana, era molto ambizioso ma anche piuttosto generico: studiare il sistema di Saturno, inclusi gli anelli e le sue lune, attraverso ripetuti passaggi ravvicinati (fly-by). La missione si è definitivamente conclusa il 15 settembre 2017 quando la sonda spaziale, oramai rimasta a corto di carburante, onde scongiurare il rischio di contaminazione delle lune con batteri terrestri è stata deliberatamente fatta precipitare nell’atmosfera di Saturno.
Simon Rittman, lo scienziato che ha condotto la ricerca in questione, ha affermato che una futura sonda equipaggiata con uno spettrometro di massa sarebbe in grado di rilevare eventuali biomarcatori di metanogeni: la presenza di determinate sostanze, indissociabilmente legate alla proliferazione dei batteri, sarebbe un segnale decisivo.
Purtroppo al momento nei programmi delle agenzie spaziali non compare alcuna missione rivolta ad approfondire lo studio di Encelado, seppur non manchino le proposte. Quella apparentemente più concreta, benché ancora in una fase di studio iniziale, appartiene al privato Yuri Milner, fondatore del programma Breakthrough: una sonda realizzabile a basso costo, da lanciare nei primi anni ’20 e avente l’obiettivo di studiare a fondo Encelado. Nel frattempo una sonda della NASA denominata Europa Clipper (probabilmente supportata da un lander), e una dell’ESA chiamata Jupiter Icy Moon Explorer saranno invece dirette verso Europa, una delle principali lune di Giove, allo scopo di studiarne l’oceano di acqua liquida presente sotto la superficie.
Sebastiano Martorana