Dopo l’ennesimo incontro tra i vertici della CUP e di Junts pel Sí, ieri in serata è arrivato l’accordo che ha sbloccato la situazione per l’investitura del Presidente della Generalitat. A trenta ore dalla scadenza, i due gruppi parlamentari hanno reso noto in extremis il patto di governo che evita, di fatto, il ritorno alle urne nel mese di marzo, come molti ormai davano per scontato, e rilanciano il progetto indipendentista. Cruciale è stato il passo indietro di Artur Mas, il presidente uscente che fino all’ultimo ha insistito per essere rieletto senza offrire alternative alla CUP, forza di cui Mas avrebbe avuto bisogno per governare. Continuava a dire che riunciare alla sua rielezione avrebbe significato “paralizzare il procés”. Il Procés è, nel gergo giornalistico, il termine catalano che si è iniziato a usare per riferirsi appunto, al processo indipendentista. E proprio quando la marcia verso la secessione dallo stato spagnolo sembrava svanire, il colpo di scena.
A succedere a Mas sarà il sindaco di Girona nonché collega di partito, Carles Puigdemont, filologo e giornalista. Fervente indidependentista e fondatore dell’organizzazione giovanile di Convergéncia Joventut Nacionalista de Catalunya. Dalla scorsa estate ricopre anche l’incarico di Presidente dell’associazione dei comuni catalani per l’indipendenza (AMI), ruolo che gli ha permesso di risalire le gerarchie del partito arrivando fino alla terza posizione nelle liste delle ultime elezioni. El País riporta l’episodio in cui durante una riunione dell’Assemblea nazionale catalana, nel 2013, concluse il suo intervento citando un giornalista fucilato nel franquismo “gli invasori saranno cacciati dalla Catalogna”.
Ma negli sviluppi della vicenda catalana non va considerato solo il profilo del nuovo presidente, che potremmo attribuire come una mezza conquista della CUP, quanto la redazione del testo che sancisce il patto di governo tra la lista Junts pel Sí e la formazione anticapitalista. Un documento inaspettato e, senza dubbio, straordinariamente impositivo, che traccia un margine di libertà molto serrato alla CUP. Cinque sono i punti stipulati, tutte quanti sono limitazioni e prese di responsabilità da parte di quest’ultima e pertanto, la CUP si impegna a:
- Non votare mai come i partiti non indipentisti quando la stabilità sarà messa a rischio.
- Garantire che due dei suoi deputati entreranno a far parte del gruppo di Junts pel Sí definitivamente, seguendo nelle votazioni la linea del partito.
- Votare la fiducia al candidato alla presidenza della Generalitat proposto dal gruppo parlamentare Junts pel Sí.
- Riconosce che la propria linea politica può aver messo a rischio il processo indipendentista, ha indebolito il fronte indipententista e scoraggiato l’elettorato. La CUP si impegna pertanto a rinnegare l’atteggiamento belligerante nei confronti di Junts pel Sí, e si impegna a difendere tutte le forze che cooperano per il cambiamento verso uno stato indipendente.
- Rinnovare il proprio gruppo parlamentare e compiere un’autocritica dell’atteggiamento avuto in questi mesi.
L’intenzione da parte di Junts pel Sí è quella di impedire alla CUP di essere un elemento di opposizione e di assicurare una maggioranza stabile che permetta una legislatura senza complicazioni.
Tuttavia è fortemente improbabile che questo accordo non vacilli visto anche il carattere collegiale della CUP nel prendere decisioni e, da un momento all’altro, una votazione della direzione del partito potrebbe sovvertire gli equilibri faticosamente raggiunti in questi giorni. Tutto dipenderà dall’evolversi della legislatura. Il punto focale e il principale obiettivo di questo nuovo governo rimane quello di ultimare il procés d’indipendenza entro diciotto mesi. Come? Il nuovo esecutivo indipendentista a guida Puigdemont dovrà approvare in un mese tre leggi indispensabili per la creazione di strutture statali, si dovrà poi stipulare una legge transitoria e infine, inizierà il processo costituente per la stesura di una Costituzione della repubblica catalana che dovrebbe successivamente essere ratificata dai cittadini catalani attraverso un referendum. Tra gli imminenti compiti del nuovo presidente c’è anche quello di nominare i membri dell’esecutivo il quale, come ha ricordato Mas in conferenza stampa, avrà la struttura che era stata accordata con la CUP: tre macroaree che diano un’immagine collaborativa e plurale al governo, Junqueras (ERC) sarà il vicepresidente economico, Munté (già vicepresidente con Mas) per le politiche sociali e Romeva (ex-ICV, ora Junts pel Sí) si dovrebbe occupare di esteri e trasparenza.
Nel nostro articolo della settimana scorsa sulla Catalogna parlavamo di “strumentalizzazione” del processo indipendentista e a questo ci riferivamo. La forzatura di un accordo in extremis e la faccia tosta di intraprendere un azzardato, complesso e irreversibile percorso con la legittimazione di meno di due milioni di catalani, minoranza in voti rispetto all’opposizione, annichiliscono la democrazia, bypassano la volontà popolare e la legge. Si può essere pro o contro l’indipendenza in Catalogna, non è questo il punto. La questione sta nel sentirsi legittimati a intraprendere la disconnessione totale dalla Spagna (con conseguente uscita immediata dall’Unione Europea) avendo una minoranza di voti. 1.966.508 catalani non solo stanno decidendo il futuro identitario e politico di altri tre milioni e mezzo di elettori catalani ma condizionano anche la struttura di un intero Stato, di altri quarantaquattro milioni di spagnoli, che tutti insieme, nel 1978, hanno votato (catalani compresi) per una Costituzione unitaria che oggi stanno ignorando e trasgredendo per le loro aspirazioni nazionaliste.
La palla ora passa a Madrid, alla Moncloa, dove per ora continua a risiedere Mariano Rajoy, in assenza di un governo che anche lì, come in Catalogna, tarda ad insediarsi. Podemos continua spedito per la strada del referendum sull’indipendenza in Catalogna, probabilmente Rajoy (PP) riproverà a tentare i socialisti per una grande coalizione, questa volta facendo leva sulla questione territoriale. Occhi puntati su Pedro Sánchez che, in questo momento, è l’unico che potrebbe consentire al PP di Rajoy di governare ma anche l’unico in grado di poter raggiungere una maggioranza alternativa al PP. Nel primo caso Sánchez sa bene che un patto coi popolari darebbe il colpo di grazia al partito perdendo la fiducia degli elettori di centrosinistra stremati dall’austerità di Rajoy. Nel secondo caso, quell’ipotetico governo progressista che tanto fa sperare gli elettori di sinistra non è così facile come sembra, lungi dal somigliare al caso portoghese. Per poter governare Sánchez avrebbe bisogno quantomeno dell’astensione il giorno dell’investitura della sinistra indipendentista catalana ERC di Oriol Junqueras, proprio quella che oggi insieme a Mas e alla CUP voterà Puigdemont presidente della Catalogna e che con la Spagna non vuole più aver niente a che fare.
Non ci resta che osservare, intanto alle 17.00 si vota in parlamento per l’investitura di Puigdemont che, salvo imprevisti (non si sa mai), sarà il prossimo presidente della Generalitat catalana. Nomes hem d’esperar!
Giacomo Rosso