Le catastrofi accadono troppo spesso e troppo spesso l’uomo, di fronte a tanto male, si sente quasi insignificante, troppo piccolo, troppo indifeso. Guarda il cielo e si rivolge a un qualcuno di superiore, si ancora a quella fede che nel quotidiano dimentica di avere. Ma il problema è che Dio c’entra poco, il potere dell’essere umano può essere molto più letale.
L’11 luglio 1995 è la data che ricorda il massacro più cruento in Europa dopo la storia del nazismo, quello di Srebrenica.
Nessuna fonte di tale avvenimento nega il fatto che il massacro sia stato concepito come un’azione di montatura e di cospirazione contro il popolo serbo, ma la propaganda non lascia ad interpretazioni ed è ristretta nelle informazioni, tanto che ormai tra connazionali bisogna ancora saper ponderare bene le parole per non essere etichettati come dei traditori.
Venti anni fa Srebrenica era sotto la tutela delle Nazioni Unite, dettaglio che non ha impedito ai serbi bosniaci di Ratko Mladic e alle “Tigri di Arkan” di Željko Ražnatović di uccidere ottomila bosniaci musulmani tra uomini, bambini e anziani, tutti maschi. Le donne rimaste lì dopo la violenza ritengono che i serbi abbiano voluto annullare il loro popolo, in modo che non ci fossero più nascite, e un po’ ci sono riusciti.
Delle 30mila persone che un tempo la popolavano prima della guerra, oggi ne restano solo 4mila, completamente spogliate dei propri averi, il proprio orgoglio, private della loro classica architettura sovietica sostituita da un paesaggio alpino circondato da boschi e conifere.
Francesco Battistini, un inviato a Srebrenica dieci anni dopo il massacro, ci riporta la desolazione e il carico emotivo di cui quei luoghi, segnati da tanto dolore. Rileggendo le sue parole sembra quasi che stiamo per addentrarci in un sonetto foscoliano, in cui la terra stessa e l’aria che si respira sono pregnanti di ricordi e ci mostrano un triste velo di malinconia e di inquietudine, dettate soprattutto dallo spettacolo della fabbrica abbandonata in cui vennero consumate le prime violenze (stupri e omicidi testimoniati da indecenti disegnini sulle pareti) e il cimitero con fosse scavate ma senza tombe, in attesa di essere riempite forse con cadaveri ancora non identificati, forse con quelli che verranno.
A Srebrenica c’erano 37mila musulmani, ne sono rientrati un decimo ma il terrorismo continua ancora. Pasa Mustafic, una vecchietta che pensava di aver cacciato i serbi dalla sua abitazione, è saltata in aria in gennaio per una bomba nascosta nel suo giardino. Svetlana Broz, una cittadina di Srebrenica, confessa: “Questa è una storia solo congelata. Come fa la gente a dimenticare, se ancora non ha dato sepoltura ai morti? Celebrare i dieci anni da Dayton, non interessa a nessuno. La Bosnia Erzegovina è uno Stato obbligato a restare unito solo dalla comunità internazionale. L’odio lo respiri. E le telecronache dall’ Aja non aiutano: Milosevic che pontifica, i suoi che condizionano la politica in Serbia. Che avrebbero fatto gli europei, se dopo la Seconda guerra mondiale Hitler fosse finito in un comodo carcere a difendersi in un tranquillo processo, col suo partito ancora al potere in Germania?”.
Sembra quasi che la triste vicenda non ci appartenga, che dopo gli altrettanti tristi avvenimenti dell’11 settembre Srebrenica non abbia il giusto peso per essere ricordata.
Numerosi problemi ci sono anche in campo economico. È stata ricostruita qualche moschea, qualche tetto, ma di sicuro non sono state prese le giuste misure per risollevare il popolo. Non si sa dove siano finiti i 200 milioni d’euro stanziati dalla comunità nazionale per la rinascita della città. Sembra non sia un caso che più della metà del bottino venga dall’Olanda, terra dei caschi blu che 20 anni fa nulla fecero per difendere la popolazione su cui in teoria vigilavano.
Alessia Sicuro