“Lucarie’…scétate, ca songo ʼe nnove”, “ Questo Natale si è presentato come comanda Iddio”, “Fa freddo fuori?”, “ Te piace ʼo presepio?”
Il Natale di ogni napoletano, da tradizione, non può che avere inizio con una di queste frasi, tratte da “Natale in casa Cupiello”, una delle commedie tragicomiche più popolari di Eduardo De Filippo.
Scritta nel 1931, messa in scena, inizialmente come atto unico, nel 1932 dalla Compagnia Umoristica I De Filippo, la commedia conta due registrazioni televisive: una del 1962, in cui compare nel ruolo di Tommasino/Nennillo, Pietro De Vico, nonché lo stesso Eduardo nel ruolo di Luca Cupiello. La seconda risale al 1977, ed è quella che risulta essere, ancora oggi, quella più vista e apprezzata dal pubblico, in cui figurano come interpreti: Luca De Filippo ( Tommasino/Nennillo), Pupella Maggio (Concetta), Gino Maringola (Zio Pasqualino), Lina Sastri (Ninuccia), Luigi Uzzo ( Nicolino), Marzio Onorato (Vittorio Elia) e, naturalmente, il maestro, Eduardo (Luca Cupiello).
Divenuta quasi un rito natalizio napoletano ( e non solo), la commedia incarna nel personaggio di Luca Cupiello, l’utopia del Natale come celebrazione della famiglia, dei buoni sentimenti e delle tradizioni.
Il presepe, che ostinatamente Luca continua a costruire e progettare con enorme cura ogni anno, nonostante la sistematica noncuranza del figlio, che lo contraddice per puro dispetto, e il disappunto della moglie, è il simbolo delle convenzioni sociali dietro le quali il protagonista s’illude di nascondere i problemi e le difficoltà che affliggono la sua famiglia. “ ʼO presepio” rappresenta la maschera dietro cui Luca, così come ognuno di noi, può fingere che tutto vada per il meglio, almeno durante le festività natalizie.
È così rassicurante, per lui, credere che il pranzo di Natale e il “rito” della costruzione del presepe, possa ristabilire la pace coniugale tra la figlia e suo marito; che la letterina scritta ogni anno da Tommasino alla madre, in occasione di “quel santo giorno”, e colma di buoni propositi, mai realizzati, possa riscattare suo figlio dal suo stato di perenne fannullone egoista.
Un’impalcatura che crolla inevitabilmente, nonostante gli sforzi, alla fine del secondo atto, e che determinerà la disfatta di questo personaggio, violentemente spogliato della sua unica e più solida certezza: il Natale.
Un modo di celebrare le festività che lascia spazio alla riflessione, un riso amaro che caratterizza tutto il teatro di Eduardo, e di cui ogni buon napoletano non può fare a meno.
Gabriella Valente