La fondazione Palazzo Strozzi dedica alla regina della performance art, Marina Abramovic, una mostra che ripercorre le principali tappe della carriera dell’artista.
La locandina della mostra The Cleaner vede Marina Abramovic intenta a passare la fiamma di una candela contro il proprio dito, ormai annerito. Provocatoria e dissacrante, l’artista serba è forse una delle personalità più controverse della scena artistica contemporanea. Con le sue performance, da oltre 50 anni, mette alla prova i limiti del proprio corpo e le infinite possibilità della mente, stupisce e allo stesso tempo genera riflessione.
La mostra sarà a Firenze fino al 20 gennaio e raccoglie oltre 100 opere dell’artista, non solo performance – riprodotte attraverso foto, filmati, strumenti e oggetti originali – ma anche dipinti, sculture, memorabilia e le cosiddette reperformance, ovvero le riesecuzioni dal vivo di alcune delle sue azioni artistiche pubbliche più celebri attraverso un team di artisti, appositamente selezionato e formato da Marina Abramovic in persona.
Le opere
Le opere più suggestive sono senza dubbio le reperformance e le opere partecipative, per le quali esiste un calendario consultabile sul sito del museo. Tra queste l’opera che da il titolo alla mostra, Cleaning the mirror, in cui l’artista siede con uno scheletro umano in grembo, cercando di pulirlo con una spazzola: lo scheletro però si sporca sempre di più perché la spazzola viene risciacquata nell’acqua sporca. Una re-performance rimanda a riti di morte tibetani che preparano i discepoli a diventare tutt’uno con la propria mortalità.
Ci sono poi video che ripercorrono la lunga carriera della Abramovic e quindi, inevitabilmente, anche la storia d’amore e il sodalizio artistico con Ulay. Ad esempio, The Lovers, una performance del 1988 con cui i due amanti segnano la fine della loro relazione: percorrono la Grande Muraglia cinese, l’uno da est, l’altro da ovest. Si ricongiungeranno dopo 90 giorni, baciandosi e dicendosi addio. O ancora Rest Energy del 1980, che dura appena quattro minuti. Marina tiene in mano un arco mentre il compagno Ulay tende una freccia che punta dritto al cuore di lei. Dei microfoni diffondono il battito del cuore accelerato per la tensione. La dimostrazione della fiducia più cieca nell’affidare la propria vita alla persona che si ama. I due artisti si aggrappano all’arco ed alla freccia e si guardano negli occhi per l’intera durata della performance.
Il coinvolgimento del pubblico
È difficile che il visitatore si annoi alla mostra di Marina Abramovic. Per definizione la performance art esplora le relazioni tra l’artista e il pubblico, come nell’opera Imponderabilia, riesecuzione di una performance del 1977, in cui il pubblico si trova a passare attraverso i corpi nudi di due artisti come fossero gli stipiti di una porta, sperimentando l’incontro/scontro tra energia femminile e maschile. In alcune opere, poi, il pubblico diviene addirittura protagonista e performer, come in Counting the rice, un’opera interattiva in cui i visitatori sono invitati a sedere ad un grande tavolo, a prendere un mucchietto di riso e a contarne i chicchi, in silenzio, per tutto il tempo che si vuole, ascoltando della musica.
La cornice di Palazzo Strozzi
Tra l’altro, val la pena di andare alla mostra solo per visitare Palazzo Strozzi, uno dei più bei palazzi rinascimentali italiani. Vero e proprio capolavoro dell’architettura civile fiorentina, fu iniziato per volere di Filippo Strozzi, un ricco mercante appartenente a una delle famiglie più facoltose di Firenze, per tradizione ostile alla famiglia dei Medici. È ora sede di mostre e attività culturali di respiro nazionale e internazionale.
La mostra si tiene in parte nei sotterranei, nella cosiddetta ‘Strozzina’, in parte negli spazi del Piano Nobile, a cui si accede dallo splendido cortile interno. Proprio nel cortile è parcheggiato il furgone Citroen vintage su cui Marina e Ulay vissero per tre anni, conducendo una vita nomade in giro per l’Europa.
Finora una mostra da record, che incuriosisce, facendo registrare oltre 145mila visitatori.
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Antonella Di Lucia