Lo scorso 29 febbraio a Indomeni, una cittadina greca al confine con la Macedonia, la polizia macedone ha sparato gas lacrimogeni per impedire ad alcuni rifugiati di sfondare il cordone e, secondo Medici Senza Frontiere, vi sarebbero stati almeno 22 feriti, 18 dei quali con problemi respiratori.
Tale situazione si è creata a seguito della decisione di numerosi paesi di chiudere il confine o limitare il passaggio dei migranti attraverso le proprie frontiere. Molti rifugiati, per questo motivo, restano letteralmente bloccati in Grecia perché Stati come la Slovenia, la Croazia, la Macedonia, l’Austria e la Serbia hanno deciso di adottare una politica restrittiva nei confronti dei richiedenti asilo. Così, a Indomeni, sono bloccate circa 7000 persone a fronte di una capacità di accoglienza di circa 2500 persone e a Polycastro si è creato un campo di raccolta di respinti. Inoltre le nazionalità siriane, irachene e afghane sono state escluse dalle liste di quelle che hanno il permesso di passaggio.
L’International Organization for Immigration stima che nel 2015 circa un milione di persone abbiano raggiunto l’Europa per fuggire dal proprio paese di origine e secondo Fabrice Leggeri, direttore di Frontex, le cifre di questi primi mesi del 2016 sono di trenta volte superiori rispetto a quelli dei primi due mesi dello scorso anno.
Philip Breedlove, comandante NATO in Europa, ha affermato che «Assad e la Russia stanno usando la migrazione come arma per schiacciare le strutture di supporto europee e distruggere la risolutezza europea», mentre Eva Cossé di Human Rights Watch ribadisce che «intrappolare i richiedenti asilo in Grecia è una soluzione inconcepibile e miope che sta causando solo sofferenza e violenza».
L’Unione Europea per la gestione dell’emergenza ha stanziato 700 milioni, da dividere tra i governi in difficoltà per l’emergenza e le ONG che operano sui territori in cui sono presenti i migranti.
Inoltre proprio pochi giorni fa si è tenuto ad Ankara un vertice sull’immigrazione tra gli stati UE e il governo turco del presidente Erdoğan che richiede altri fondi, oltre i 3 miliardi di euro già stanziati, per fronteggiare l’emergenza dei profughi siriani in Turchia. L’incontro non ha ancora prodotto alcuna decisione: vi è stata solo la promessa di continuare i negoziati, che riprenderanno il 17 marzo, data del prossimo Consiglio Europeo.
Giuseppe Campesi, docente dell’Università di Bari, in una riflessione pubblicata dal sito dell’ISPI, ha evidenziato come il fenomeno delle migrazioni sia da collegare più ad una crisi delle politiche che ad una crisi migratoria in senso stretto. Lo studioso inoltre mette in evidenza come l’attuale crisi e la decisione di molti paesi di chiudere le frontiere, chiudendo di fatto l’accesso alla “rotta balcanica”, non sia altro che il risultato di un sistema incerto alla base, quel “sistema di Dublino” istituito nel 1997 che prevede che siano i paesi di primo arrivo ad avere l’onere di accoglienza dei richiedenti asilo.
Sistema che di fatto non si è dimostrato efficace e che, al contrario, non ha fatto altro che inasprire il rapporto tra i paesi europei in materia di immigrazione, mettendo in discussione anche le premesse alla base del Trattato di Schengen, il più bistrattato degli ultimi anni. Queste discrepanze, con le migrazioni in costante aumento, dato il non miglioramento delle condizioni politiche e sociali dei paesi di provenienza dei richiedenti asilo, non fanno altro che trasformare l’Europa in un «deposito di anime», come lo ha definito l’Alto Commissariato per i Rifugiati delle Nazioni Unite (UNCHR).
Sabrina Carnemolla