Luci e ombre per il mondo della formazione a Napoli e in Campania: le analisi dell’istituto Censis mette in risalto i punti di forza e, soprattutto, le debolezze del sistema istruttivo sul nostro territorio con purtroppo poche sorprese nelle classifiche delle Università migliori.

Le migliori Università in Italia

Andiamo subito a guardare l’analisi nazionale svolta come di consueto dal Censis, l’istituto di ricerca socio-economica che da oltre mezzo secolo racconta l’evoluzione del nostro Paese, per scoprire quali sono gli atenei migliori di Italia in base a criteri come strutture disponibili, servizi erogati, livello di internazionalizzazione e capacità di comunicazione 2.0. Ebbene, è sconfortante notare come il sistema universitario campano occupi quasi in assoluto le ultime posizioni.

Male la Federico II

Nella sezione dedicata ai cosiddetti “mega atenei statali“, ovvero quelli che vantano oltre 40 mila iscritti, la storica Università Federico II di Napoli si piazza appunto all’ultimo posto, confermando la maglia nera già vestita nell’edizione precedente e con un distacco in aumento rispetto alla capoclassifica, ovvero l’Università di Bologna. Nonostante il prestigio storico, la struttura federiciana non riesce dunque a offrire servizi adeguati ai propri iscritti e, purtroppo, non è l’unico caso localizzato in Regione Campania.

Tante ombre

Sul fondo delle graduatorie troviamo anche gli atenei più piccoli, come Università Luigi Vanvitelli, la Parthenope o L’Orientale: nel segmento dei “grandi atenei statali” (quelli dai 20 ai 40 mila iscritti), l’ex Seconda Università di Napoli (e oggi nota anche come Università della Campania) è ultima, a distanza dall’Università di Perugia che è leader in Italia. In piena zona “retrocessione” anche le due università napoletane che rientrano tra i “medi atenei statali” (da 10 a 20 mila iscritti), ovvero la Parthenope e L’Orientale, che sono rispettivamente all’ultimo e al penultimo posto.

I motivi del crollo

Secondo i rettori campani, la classifica evidenzia di sicuro alcuni aspetti negativi, ma è troppo penalizzante perché, innanzitutto, non considera la ricerca e le attività svolte negli atenei e, non meno importante, si focalizza anche su alcuni ambiti di non diretta responsabilità delle strutture, come mense, posti letto e borse di studio. In pratica, questa la “giustificazione” dei dirigenti delle Università campane, i nostri centri di formazione sono penalizzati dal contesto in cui operano.

La formazione in Regione Campania

Al di là di queste considerazioni, resta il dato di fatto di un sistema che sconta molte ombre, e che non sembra riuscire a offrire agli studenti delle possibilità concrete. Non è un caso che aumenti il numero di diplomati che scelgano di iscriversi in Università fuori regione, o che tanti giovani cerchino anche dei percorsi alternativi o paralleli, sfruttando anche gli strumenti offerti dalla Rete: un esempio è rappresentato dai corsi di formazione online che è possibile reperire su siti come www.teoremacorsi.com, che consentono di intraprendere una strada vocata alla professionalizzazione e, obiettivo finale, al mercato del lavoro.

Fuga verso le altre Università

Il dato dei diplomati “in fuga” dalla Campania è piuttosto allarmante: nel decennio 2006-2016 sono ben 52 mila gli studenti campani che, dopo l’esame di maturità si sono iscritti in università lontane dal proprio territorio, con un picco di 4.562 registrato solo nell’ultimo anno accademico 2016-2017. A rendere ancor più amaro questo risultato è il fatto che i corsi scelti da questi giovani sono simili a quelli presenti negli atenei campani, un fattore che conferma la percezione negativa che c’è rispetto alla formazione in Regione.

Anna Capuano

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