Come scrisse Percy Shelley nella sua:’Ode To The West Wind’:
“..Oh, Vento,
se viene l’Inverno, potrà la Primavera esser lontana?”
Il vento trasporta con sé tantissime cose: le idee ne sono un esempio.
Il XVIII è stato un secolo in cui sono stati messi in discussione gli equilibri vigenti attraverso l’operato di alcuni intellettuali illuminati. La Rivoluzione Francese del 1789 è nata dall’unione tra la borghesia e la plebe, che ha coadiuvato le istanze di classe e la speranza di poter ricreare una società più giusta. Come abbiamo detto, il vento, carico di questi valori, ha trasportato le idee francesi in tutta Europa, arrivando anche ai vertici e proponendo il fenomeno del ‘dispotismo illuminato’ (volendo citare un’icona, Maria Teresa d’Austria).
Quel vento di cambiamento arrivò anche in Italia e, soprattutto, nel Mezzogiorno. Nel 1778 Ferdinando IV di Borbone trasformò il feudo di San Leucio, in seguito alla morte del figlio, Tito Livio: fece costruire un ospizio per tutti i poveri della provincia, dando loro la possibilità di lavorare in un opificio, che in seguito verrà arricchito con una parrocchia, degli alloggi per gli operai e padiglioni per i macchinari. Vennero curati tutti i dettagli del progetto: a partire dalle tecniche avanzate di lavorazione della seta, arrivando fino all’istruzione degli operai. Ai lavoratori delle seterie era, infatti, assegnata una casa all’interno della colonia, ed era, inoltre, prevista per i figli l’istruzione gratuita potendo beneficiare, difatti, della prima scuola dell’obbligo d’Italia che iniziava fin da 6 anni e che comprendeva le materie tradizionali quali la matematica, la letteratura, il catechismo, la geografia, l’economia domestica per le donne e gli esercizi ginnici per i maschi. I figli erano ammessi al lavoro a 15 anni, con turni regolari per tutti, ma con un orario ridotto rispetto al resto d’Europa.
Le abitazioni furono progettate tenendo presente tutte le regole urbanistiche dell’epoca, per far sì che durassero nel tempo (abitate tuttora) e fin dall’inizio furono dotate di acqua corrente e servizi igienici. Per contrarre matrimonio gli uomini e le donne, compiuti rispettivamente almeno 20 e 16 anni, dovevano dimostrare di aver conseguito uno speciale “diploma al merito” concesso dai Direttori dei Mestieri (fonte: Stefani S. , 1907, Una colonia socialista nel Regno dei Borboni, Roma).
Il successo dell’opificio arrivò oltre La Manica, attirando a sé giovani cultori dell’arte della lavorazione e diventando, ben presto, un modello. Anche Giuseppe Galanti, allievo di Antonio Genovesi, si espresse sul posto: «il più lodevole in questa costituzione è che nulla si fa per forza. L’onore ed altri piccioli problemi debbono bastare a far osservare le leggi».
Dopo qualche anno, ci fu il tentativo dei Sanfedisti di importare la Rivoluzione anche in Italia, attraverso l’impegno di Eleonora Pimentel Fonseca e Maria Luisa Sanfelice, che però risultò fallimentare. Anche grazie alle critiche di Vincenzo Cuoco possiamo spiegarne il motivo: nessuna rivoluzione può fiorire dal solo impegno degli intellettuali illuminati; il popolo deve essere reso partecipe.
Cosa ne è stato dell’opificio? Quando nel 1870 la Fabbrica chiuse rimasero le famiglie a lavorare: i Cicala, gli Alois e gli ultimi De Negri, a cui è stata presentata un’ordinanza di sfratto, previsto per il 3 Marzo 2015. Attualmente la struttura ospita anche il tradizionale Museo del Tessuto. Così, l’Italia, nega la storia e favorisce le “start up” 2.0, perché poco importa se quel luogo ha ospitato l’avanguardia nostrana rappresentando un vanto invidiato in tutto il mondo: il progresso non si può arrestare. L’ex ministro dei Beni Culturali Massimo Bray dichiara: “Chiude l’ultima seteria ancora attiva della Real Colonia della Seta fondata dai Borbone nel diciottesimo secolo. Non soltanto 15 famiglie perderanno il loro lavoro, ma la Campania e l’intero Paese perderanno l’ultima testimonianza di una realtà culturale e sociale irripetibile, una pietra miliare della storia dell’artigianato italiano”.
Un documentario di RaiEducational dedicato a di San Leucio
Sara C. Santoriello