Può il risultato elettorale di un piccolo paese del centro Europa interessare e, possibilmente, influenzare il futuro del continente unito?
La risposta è affermativa, per lo meno a giudicare dal crescente interesse che le elezioni in Olanda di mercoledì 15 marzo stanno riscuotendo fra i paesi membri – e non solo – dell’Unione Europea.
La stabilità continentale è a forte rischio, soprattutto in virtù di quello che sarà il risultato di una competizione elettorale che vede come probabile protagonista il PVV, il Partito per la Libertà di Geert Wilders, antieuropeista convinto e fervente oppositore di un’Europa multietnica e tollerante, che qualcuno ha già definito il Trump olandese.
Non è un mistero, infatti, che Wilders ammiri il neopresidente americano, che ha avuto il merito – parole sue – di riportare la gente al centro dell’agenda politica fino ad allora dominata dalle élite.
Per certi versi, in realtà, i propositi del leader del PVV sono anche più ambiziosi di quelli di Trump: uno di essi è quello di «liberare il Paese dalla feccia islamica», che da più di dieci anni ha messo Wilders nelle attenzioni delle organizzazioni terroristiche.
Non si pensi che Wilders, se tacciato di populismo, possa risentirsi, tutt’altro. A suo parere, infatti, è di persone come lui che ha bisogno la gente normale, troppe volte tradita dalle promesse dei suoi predecessori. Il suo messaggio è che l’Olanda ha bisogno di un leader più vicino al popolo, che comunichi con i cittadini in maniera semplice e diretta, anziché con il solito “politichese”, proprio di un élite lontana dalle esigenze degli elettori.
Di certo, gli argomenti sollevati in occasione delle elezioni in Olanda non sono di quelli che rischiano di passare sotto silenzio: è dall’omicidio di Theo Van Gogh — verificatosi nel 2004 ad opera di un estremista islamico, Mohammed Bouyeri, appartenente al gruppo Hofstad, come ritorsione dopo la diffusione del film Submission — che la nazione si interroga sull’emergenza integralismo, ed alcune di queste domande sono rimaste ancora senza risposta.
Il principale avversario di Geert Wilders è l’attuale primo ministro Mark Rutte, esponente del VDD, il Partito Popolare per la Libertà e la Democrazia, uomo politico meno esuberante e provocatorio, in prima linea per anni nella sua battaglia per la proiezione dell’università verso il mercato del lavoro, allorché è stato sottosegretario all’Università e Ricerca dal 2004 al 2006, e per l’austerità, da quando nel 2010 si è insediato come capo del Governo.
Se dal potenziale equilibrio fra le due opposte faziosi scaturisse una sostanziale parità alla conclusione di questa tornata elettorale, il vincitore sarebbe obbligato a trovare un accordo con altri partiti minori, al fine di dare governabilità al paese.
Al momento, tuttavia, il leader del PVV sembra in grado di vincere — o quantomeno arrivare secondo — questa tornata di elezioni in Olanda, il che consegnerebbe all’Europa un altro Stato per la maggioranza euroscettico.
Per altri versi, infatti, è indubbio che queste elezioni in Olanda possiedano un significato simbolico che va oltre la mera competizione alle urne, e riguarda la crescente insoddisfazione di cospicue sacche di elettori che non vedono più di buon occhio la privazione di sovranità che il proprio Paese si infligge in nome di un’entità superiore, quell’Unione Europea da cui in tanti vorrebbero separarsi — o nella quale perlomeno non vorrebbero integrarsi ad un livello più profondo.
Non è un caso, difatti, che si sia cominciato a parlare di “Nexit” – crasi delle parole Netherlands ed Exit – per far riferimento ad una improbabile uscita dell’Olanda dall’Unione Europea.
Un dato che, oltre a far riflettere, suona come una beffa della storia, se si pensa che i Paesi Bassi non solo hanno dato vita, nel 1951, al disegno dell’Europa unita, insieme con la Germania, la Francia, l’Italia, il Belgio e il Lussemburgo, ma che di tale progetto sono stati persino i precursori, avendo creato, nel 1944, il Benelux, un sistema di cooperazione economica e unione doganale con i vicini belgi e lussemburghesi.
Senza contare che, negli anni ’70, fu proprio l’Olanda a sostenere con convinzione l’ingresso della Gran Bretagna nell’Unione Europea, un destino che, a questo punto, rischia di accumunare i due paesi anche verso la direzione opposta.
Carlo Rombolà