«Munasterio ‘e Santa Chiara… Tengo ‘o core scuro scuro… Ma pecché, pecché ogne sera, penzo a Napule comm’era penzo a Napule comm’è?!»
Proposta nel 1945 da Giacomo Rondinella, la celebre canzone napoletana “Munasterio ‘e Santa Chiara” rievoca il desiderio di una Napoli che risorga dalle macerie del secondo conflitto mondiale; è la stessa città che ha paura della distruzione, delle rovine, dei residui di quei bombardamenti che hanno lacerato i suoi spazi più belli, le sue piazze, le sue strade e il suo Monastero di Santa Chiara.
Situato nel centro storico di Napoli, il monastero di Santa Chiara è uno dei complessi monastici più grandi e più importanti della città: è la più grande basilica gotica di Partenope che comprende gli scavi archeologici in cui sorge il Museo dell’Opera, quattro chiostri monumentali e i resti degli affreschi di Giotto. Ha il suo ingresso su via Benedetto Croce ed è adiacente sul lato nord-orientale alla chiesa del Gesù Nuovo.
Il celebre monastero fu costruito per volontà del re di Napoli Roberto D’Angiò e della sua seconda moglie Sancia di Maiorca: entrambi i sovrani erano devoti a Santa Chiara. Così nel 1310, affidarono la costruzione a Gagliardo Primario e a Lionardo di Vito: i lavori furono completati nel 1340 e quello stesso anno il complesso fu aperto al culto dei napoletani. All’inizio il complesso aveva la struttura di un doppio convento, in quanto era stato realizzato costruendo due edifici continui ma separati: un monastero, pronto ad accogliere le suore, diventata poi la chiesa delle Clarisse, e un convento che ospitasse i frati francescani.
L’interno del Monastero di Santa Chiara di Napoli è ricco di affreschi a opera di artisti di grande calibro: basti ricordare i dipinti di Giotto “Episodi dell’Apocalisse” e “Storie del Vecchio Testamento”. Tutto rispecchia in pieno lo stile gotico: nella facciata a larga cuspide è incastonato un antico rosone traforato; gli archi a sesto acuto fanno da contorno alla sua unica navata su cui si aprono dieci cappelle per lato.
Ma a partire dal 1742 fino al 1796, il monastero di Santa Chiara fu ampiamente ristrutturato sulla base del gusto barocco dell’epoca: l’interno fu ricoperto di marmi, così come il pavimento, e molti degli affreschi della mano giottesca furono cancellati per fare spazio alle pitture di Francesco de Mura, Sebastiano Conca e Giuseppe Bonito.
Durante la seconda guerra mondiale, e precisamente durante il bombardamento degli alleati il 4 agosto 1943, il monastero fu completamente distrutto da un lungo e doloso incendio. Ridotto oramai al suo solo scheletro, nel 1944 cominciarono i lavori di ristrutturazione che furono completati nel 1953: fu allora ripristinato l’aspetto gotico originario trecentesco e scomparve definitivamente lo stile barocco.
Senza alcun dubbio, il turista quanto lo stesso cittadino di Napoli, resta colpito dai colori, dalle architetture e dalle forme artistiche del chiostro maiolicato, o anche chiostro delle Clarisse. Ideato da Domenico Antonio Vaccaro, il primo dei chiostri di Santa Chiara è una sorta di giardino rustico decorato da preziose “riggiole” maiolicate che rappresentano significative scene e paesaggi bucolici tipicamente napoletani. Gli spazi armoniosi rendono gli ospiti e i visitatori meravigliati: natura e architettura si fondono tra loro, creando in essi stupore, estasi, commozione.
Dal lato sud del chiostro maiolicato è possibile accedere all’ex refettorio delle clarisse: anche in questo luogo, così come nella sala Maria Cristina, è possibile ammirare ciò che resta di alcuni famosissimi affreschi di Giotto sulla Crocifissione e di altri affreschi di pittori anonimi.
«Munasterio ‘e Santa Chiara… ‘Nchiuse dint’a quatto mura, quanta femmene sincere, si perdévano ll’ammore, se spusavano a Gesù!»
Arianna Spezzaferro