“Man mano che cantava l’ombra scendeva dai grandi alberi, e il chiaro di luna nascente cadeva sopra lei sola, isolata dal nostro cerchio attento. Tacque, e nessuno osò rompere il silenzio. Il prato era coperto di tenui vapori condensati, che deponevano sulle cime delle erbe i loro candidi fiocchi. Ci pareva d’essere in paradiso.”
(«Sylvie» da «Le figlie del fuoco»)
Limpida, fresca, sorprendente, la prosa si dipana in narrazioni in cui la veglia e il sogno, il quotidiano e l’incanto, la natura e il mondo spirituale si alternano e s’intrecciano in un viaggio, al contempo immaginario e reale, ininterrotto e intriso tanto di dolore quanto di meraviglia inesplorata. Gérard de Nerval (pseudonimo di Gérard Labrunie, Parigi, 1808 – 1855) è innanzitutto cantore di tradizioni antiche che ripercorre in un’incessante ricerca personale della verità e dell’Assoluto; su tutte s’innalza la figura di Loreley, immagine di miti e leggende che preesistono al mondo e lo spiegano, non secondo una logica numerica che può solo accarezzarlo in superficie – il mondo è analogico, intuitivo e solo il simbolo, la visione, è in grado di recepirne l’essenza nonché le infinite corrispondenze che legano il sensibile al sovrannaturale, all’annuncio, alla parola profetica. La figura del femminile trasfigurato e pericoloso, il cui canto attira irresistibilmente verso la rovina, è immagine perfetta dell’arcano esistenziale, del viaggio attraverso la vita e attraverso il sogno compiuto dall’autore. La figlia del fiume si oppone agli abissi del mare, alle profondità immobili dell’inconscio, in un fluire costante di coscienza e di portato onirico, ed il Reno diviene latore di misteri che irrigano la Terra, invisibili e trasparenti come l’acqua, percepibili solo da chi abbia uno sguardo diverso, sottile, poetico.
Il mito moderno, forgiato da Brentano, Heine («Die Loreley») e dallo stesso Nerval («Lorely») rappresenta uno dei poli della tematica di fondo dell’arte e del pensiero dell’autore, essendo l’altro identificato nel fuoco, nella vitalità ariosa e virile dell’Asia.
Amico e compagno di studi di Théophile Gautier, e ben presto suo coinquilino e collaboratore alla “Presse”, attratto dal Romanticismo di cui diverrà figura emblematica, Nerval traduce, giovanissimo, il «Faust» di Goethe, distinguendosi per il nitore espressivo, tanto che lo stesso autore gli scriverà a riguardo: “Prima di leggervi non mi ero mai così ben compreso”.
Gentile, mite, premuroso, Gérard può contare su una cerchia di amici devoti, dai quali tuttavia si distingue per un’esagerata tensione onirica; fantasie e leggende irrompono nel reale di cui condividono la stessa consistenza; durante il cammino elfi e coboldi danzano intorno al fuoco al suono di un menestrello medievale.
Alla ricerca di un amore puro, idealizzato, assoluto, si scontrerà con la pesantezza del mondo materiale e, non di rado, con la grettezza della società. In particolare, dapprima il rifiuto e, quindi, la morte di Jenny Colon, un’attrice di teatro, lo faranno sprofondare in uno stato di cupezza e depressione mortali; una delusione metafisica e psicologica che sfoceranno dapprima in una sete di viaggio e di panorami ignoti che lo porterà ad esplorare l’Oriente e i suoi misteri (da cui trarrà «La regina di Saba»); quindi, in follia, e richiederanno il suo ricovero presso un istituto di cura.
Con una forza d’animo fuori dal comune, Nerval comporrà durante gli intervalli di lucidità «Sylvie» che sarà integrata nella raccolta «Le figlie del fuoco» e, una volta guarito, ripercorrerà l’evolversi della malattia mentale in «Aurelia», consapevole che questa “discesa agli inferi” è stata necessaria perché potesse acquisire quanto ancora gli mancava di sapienza e saggezza.
Ne «La regina di Saba», dapprima contenuta nel «Viaggio in Oriente», è narrato l’incontro tra Balkis, principessa dello Yemen, e re Salomone. Questi la reclama in moglie ma il cuore di Balkis è votato ad Adoniram, architetto del Tempio. Il contrasto fra il re, dipinto come sciocco, vanesio, pusillanime (in contrasto con la fama della sua saggezza) e Adoniram, fiero, deciso, votato al dovere, risale all’inizio dei tempi. Mentre Salomone appartiene, come gran parte del suo popolo, alla discendenza di Abele, Adoniram è un discendente di Caino e, in un mondo sotterraneo in cui il tempo ondeggia tra passato e futuro, dialoga con il suo avo, che gli rivela l’immensa nobiltà di Caino, forte, fiero, vitale, e la gelosia di Adonai, raffigurato come una delle tante divinità della tradizione, che predilige Abele, “figlio del fango”, debole ed egoista.
Salomone farà uccidere con l’inganno Adoniram; Balkis abbandonerà il paese e farà ritorno nel suo regno.
In questa ribellione quasi titanica contro l’ordine del mondo e contro Dio stesso lo stile di Nerval diviene a sua volta asciutto e nervoso, contratto, a tratti incerto.
“L’innocenza e la gioia le splendevano negli occhi. Ci avviammo seguendo le rive della Thève, per i prati cosparsi di margherite e bottondoro, e poi lungo i boschi di Saint Laurent, attraversando ogni tanto ruscelli e macchie per abbreviare il percorso.”
(«Sylvie»)
«Sylvie», al contrario, riprende lo stile fluente, sobrio, elegante delle opere giovanili, lo stesso tono sognante, la stessa realtà trasposta in leggenda. È il riappropriarsi dell’infanzia, della purezza ad ogni costo relegata ai margini della coscienza e invece essenziale all’adulto: tornato al paese della sua giovinezza, Nerval ritrova un amore risalente ai tempi in cui, bambino, giocava e cantava alla luce del sole, della luna, delle stelle.
I due si fidanzano comparendo dinanzi ad un’anziana zia: “Sylvie e io ripetevamo quelle strofe dal ritmo tanto semplice, con gli iati e le assonanze del loro tempo: amorose e fiorite come il cantico dell’Ecclesiaste. Eravamo lo Sposo e la Sposa per tutto un bel mattino d’estate.”
(Rimbaud riprenderà la scena nelle «Illuminazioni», in “Regalità”.)
Non vi sarà, tuttavia, futuro per gli innamorati di un tempo. Sylvie, la compagna di giochi e risa, dimenticherà sé stessa e, inghiottita dal progresso, lascerà il lavoro tradizionale e diventerà guantaia: “rende molto, ora.” infine sposerà un uomo benestante. Nerval s’innamorerà prima di una giovane destinata alla vita monastica, quindi si consacrerà ad Aurélia, consapevole, tuttavia, della perdita: “Lì forse era la felicità. E invece…”
“Non più morte, non più tristezza, non più inquietudine.”
(«Aurelia»)
«Aurelia», terminato nel 1855, è il racconto delle Visioni che hanno accompagnato l’autore nella sua follia e che, infine, lo hanno guarito. Presentata come una “Vita Nuova” riprende infatti il tono etereo e rarefatto del libro dantesco, privo di riferimenti esteriori precisi, introspettivo, votato alla contemplazione della donna–angelo; ben presto, tuttavia, il racconto immaginativo–sovrannaturale ha il sopravvento. In sogno, Nerval ripercorre una via simbolica attraverso il lutto, la disperazione, per giungere ad una nuova consapevolezza. Trasportato sulle rive del Reno, al cospetto di Loreley («Lorely – Souvenirs d’Allemagne» è del 1851), assiste alla nuova creazione del Mondo nella musica: “l’inno prima interrotto della terra e dei cieli fece riudire le sue armonie”; dalla costellazione di Orione scaturisce il diluvio ed il mondo ne è trasformato. Tenta di accedere ad una mitologia precedente e preesistente, s’interroga sulla trasmigrazione dell’anima e raggiunge, invece, la certezza dell’immortalità. Le leggende si congiungono, si sovrappongono, le scienze occulte e cabalistiche vengono poco per volta abbandonate. La stirpe del fuoco ricompare ma è rinnegata la sua discendenza da Caino, recisamente e sprezzantemente; il “fuoco primitivo che animò i primi esseri” è ancora presente e vivo ma derivato da quello divino. Se l’uomo è creatore, non può certo esserlo di sé stesso: “possiamo forse crearci da noi?” – È facile ripercorrere le analogie col «Silmarillion» di J. R. R. Tolkien ed in particolare con l’“Ainulindalë”, quasi a marcare una radice comune.
Infine, prendendosi cura di un infermo poco per volta, giorno per giorno, e, contro ogni speranza, vedendolo tornare alla vita, impara a praticare la Compassione – l’amore. Prodigandosi per il fratello, ritrova sé stesso. In sogno apprende che la Vergine ha posto fine alla sua prova per intercessione del malato che ha accudito.
L’ultima sezione, intitolata “Memorabili”, raccoglie le visioni successive, d’ispirazione religiosa e trionfante, in cui le religioni antiche sono riscattate dal perdono di Cristo, in una prosa poetica limpida e fresca.
In un freddo mattino di gennaio, Théophile Gautier è mandato a chiamare in fretta. A Parigi, in Rue de la Vieille-Lanterne, è stato ritrovato il corpo di Gérard de Nerval, impiccato alle grate di un seminterrato, suicida o, molto più probabilmente, ucciso durante una delle sue frequenti passeggiate notturne.
Un immenso corteo funebre scorterà il feretro dalla cattedrale di Notre-Dame al cimitero.
Gérard de Nerval, figura centrale del Romanticismo, spicca per la sua vena visionaria e sognante, che precorre il Surrealismo e il Simbolismo.
Davide Gorga