Di recente ho avuto modo di riflettere sulla storia di Brittany Maynard, che ha destato un’eco mediatica di risonanza globale con la sua scelta di ricorrere all’eutanasia, a causa di un cancro al cervello che avanzava consumandola inesorabilmente.
Si è trasferita dalla California all’Oregon per avere l’opportunità di porre fine alla propria vita, secondo le leggi locali, e lo scorso 1° Novembre ha abbandonato le sofferenze dopo essersi congedata attraverso un post su facebook. Non ha neppure aspettato il suo compleanno. Se n’è andata e basta.
Naturalmente, gli sciacalli e gli avvoltoi del gossip hanno banchettato in allegria con le spoglie della sua storia, del suo eclatante gesto. Una giovane e solare ragazza che decide di togliersi la vita a causa di un tumore maligno: nulla di più succulento, per gli affamati sensazionalisti a caccia di una lacrima facile. Devo tuttavia ammettere che il suo esempio, per quanto controverso e criticato, ha avuto il pregio di rammentarci del dibattito sull’eutanasia, e sul diritto a disporre del libero arbitrio.
Cari lettori, bentornati al brainch. Ho scelto un tema complicato – forse anche per confrontarmi con me stesso. Ma sarò chiaro fin da subito: sono sinceramente e convintamente a favore dell’eutanasia e dell’espressione del proprio libero arbitrio.
In fondo quella di Brittany, per quanto assurta agli onori della rete e dell’etere, è soltanto una delle numerose circostanze del tutto simili che accadono ogni anno al mondo, a causa di legislazioni carenti o discordanti, o dell’ostruzionismo ideologico di derivazione clericale (qualcuno ricorda Eluana Englaro?). Dalla stessa Italia ci si sposta agevolmente in Svizzera, dove si può morire con una cifra di poco superiore ai 5 mila euro. Adesso provate un po’ a pensare al dramma di chi non possiede denaro né per vivere, né per morire…
Ma non credo che il discorso possa esaurirsi su un piano religioso. I cristiani posseggono la loro idea di vita, e giustamente la difendono con equilibrismi dogmatici certo faticosi anche per loro, per cui c’è da comprendere e persino compatire. Né potremmo dire che il libero arbitrio sia questione meramente ideologica: sarebbe una rozzeria concettuale indegna persino dei più scaltri politicanti. Ottenere voti e consenso, oppure guadagnarsi un posto in paradiso, sono derivazioni logiche di second’ordine, quando si parla di vita e di morte.
In realtà, io credo che il problema abbia origine proprio dall’incapacità di affrontare l’argomento per quello che è: un tema filosofico ed esistenzialistico, etico e noumenico. Non può risolversi sempre tutto nella banale dicotomia tra libero arbitrio e volontà divina, che già di per sé configura un paradosso in termini: giacché il libero arbitrio ci è concesso in quanto esseri imperfetti, fallaci e, pertanto, non divini. Se non disponessimo della libertà di scelta, allora da un punto di vista morale neppure potremmo essere soggetti a giudizio e, pertanto, verrebbe a cadere il dualismo ontologico tra Bene e Male alla base di gran parte delle religioni esistenti.
Invece, mi piace pensare, imparando proprio da Sant’Agostino che è forse uno dei più strenui difensori ed illuminati contributori della dottrina cristiano-cattolica, che esista un concetto in grado di trascendere la vita e fornirle senso. Qualcosa di più importante della vita stessa, quasi un’eresia da pronunciare, eppure presupposto essenziale e imprescindibile: per l’appunto, il libero arbitrio.
Mi avvicino e, con questo, mi allontano dal mio “caro amico” Schopenhauer, che con le sue brillanti deduzioni aveva ricondotto la realtà fenomenologica ad un perpetuarsi estremo di dolore e sofferenza. Nel pensiero di Schopenhauer troviamo la “condanna” della volontà in quanto causa ed origine unica ed essenziale di tutte le nostre insoddisfazioni, tutte le nostre sofferenze. Il filosofo tedesco le superava attraverso il concetto di “noluntas”, la negazione della volontà, intesa però non come predisposizione al suicido, ma come liberazione ascetica dal desiderio – introducendo di fatto in germe i precetti buddhisti anche in Europa.
Quella ricalcata da Schopenhauer era tuttavia una condizione esistenziale e non teleologica, ben diversa dalle specifiche circostanze che conducono l’individuo ad uno stato di dolore fisico, sofferenza morale e privazione di speranza. Fornisce uno spunto, ma non la radice a cui attecchire. Paradossalmente, il concetto di libero arbitrio è predominante in un cattolico come Sant’Agostino piuttosto che in un ateo come Schopenhauer. Il che, forse, è una conferma della superficialità con cui spesso si disquisisce beatamente e in maniera assiomatica di ultrauranici stati delle cose, perdendo di vista la pragmatica esigenza di chi sperimenta il dolore.
Io credo che Brittany abbia avuto coraggio, a prescindere dai ghirigori mediatici intorno alla sua storia. Tutto qua. Credo che la libertà di scelta equivalga a conferire dignità alla vita: e chi afferma che, invece, sia più dignitoso morire tra i lamentosi strazi della malattia, nell’opacità della coscienza, nel lancinarsi delle carni, deve avere davvero una pessima stima di Dio.
Spero di non avervi traumatizzato la domenica, e di non essermi meritato una damnatio memoriae. In ogni caso, attendo le vostre risposte, riflessioni e critiche nei commenti, oppure a ilbrainch@liberopensiero.eu
Alla prossima, lettori cari, e siate sempre liberi. In tutto.