L’Argentina si avvicina al voto: come da consuetudine per il gigante dell’America Latina, e come dimostrato dalle primarie dell’11 agosto, le prossime elezioni di ottobre si prevedono turbolente, incerte e politicamente significative.
Secondo la latitudine e la longitudine un paese lontano, quello del Cono Sud, eppure assai prossimo. Vicino all’Italia, per legami storico-culturali profondi, e all’Occidente nel suo complesso: la nazione sudamericana più “europea” e industrializzata del continente è stata da sempre una fedele cartina di tornasole delle trasformazioni che lo hanno attraversato, e ne ha interpretato e anticipato i cambiamenti e le tendenze. Un laboratorio di fermenti politici assolutamente unico e peculiare.
L’esito del voto inciderà notevolmente sui destini sempre pericolanti del paese. Quale sarà il prossimo inquilino della Casa Rosada lo racconteranno le urne il prossimo 27 ottobre; nel frattempo meglio dotarsi di bussola e compendio. L’indistricabile storia argentina insegna: meglio arrivare preparati all’appuntamento elettorale.
La non-democrazia argentina nel contesto dell’America Latina
Le vicissitudini storico-politiche argentine si inseriscono pienamente in quelle dell’America Latina: pluralismo, diritti e libertà hanno faticato notevolmente ad affermarsi come fondamento della convivenza civile.
Dalla stagione dei grandi ideali dei libertadores (da Simón Bolívar a José De San Martín) nel XIX secolo, si è spesso degenerati verso forme di autoritarismo più o meno feroci e distruttive.
L’Argentina ha seguito in parte questo consumato copione, ma non pedissequamente. Dall’indipendenza con la Revolución de Mayo, la situazione politico-istituzionale ha sì faticato a trovare una stabilità, ma al contempo ha anche sperimentato con le principali tendenze ideologiche mondiali (dal liberalismo, al conservatorismo, fino al populismo), all’insegna della conflittualità.
Fin dall’inizio della storia nazionale, l’asse della contesa politica ha percorso direttrici eminentemente e aspramente ideologiche, le cui profonde differenze si sono dimostrate più volte impossibili da comporre attraverso libere elezioni. Una struttura sociale varia ma attraversata da interessi configgenti ha contribuito a ingessare il sistema politico, conseguentemente radicalizzato e sensibile all’innesco di soluzioni autoritarie, o comunque tentativi di controllo e manipolazione dell’opinione pubblica.
Inoltre, da un punto di vista economico, tanto l’idealismo radicale e poco concreto quanto il riferimento a influenti e agiati blocchi sociali (su tutti i proprietari terrieri e gli industriali) hanno favorito le distorsioni di un’economia prospera e sviluppata, ma regolarmente piagata da crisi finanziarie e valutarie e caratterizzata da forti disuguaglianze. Questo insieme di premesse e di peculiarità condizionerà il destino del paese dal XX secolo fino ad oggi, e costituisce l’unicità della non-democrazia argentina.
Districarsi tra le manifestazioni dello sperimentalismo politico non è agevole: si dovrà procedere sinteticamente a una disamina storico-politica indispensabile per “comprendere” le prossime elezioni.
“Salsa argentina”: liberismo radicale, peronismo e reazione conservatrice
In comunanza con il resto del continente, tradizionali forze politiche conservatrici hanno guidato il paese nei primi decenni dell’indipendenza, facendo riferimento alle grandi oligarchie.
Lo sviluppo economico e l’immigrazione consentirono però l’affermazione di una robusta classe media borghese simile a quella europea e nord-americana, e la presenza di un vasto proletariato agricolo-industriale. L’introduzione del suffragio universale maschile e segreto nel 1916 segna l’avvento, politicamente portentoso, della partecipazione delle masse alla vita pubblica. Si affermano inedite soluzioni politiche che cercano di tenere insieme la composita società argentina. La prima cronologicamente è il “radicalismo”, corrente liberale, caratterizzata da accenti rivoluzionari, democratici, laici, ma anche nazionalisti.
Presto il radicalismo fagociterà l’interezza dell’opposizione anti-conservatrice e si farà egemone, dando forma a un amalgama singolare, un pastiche tutto nazionale che costituirà la pietra fondante del populismo argentino: l’obiettivo sarà convogliare gli interessi del nascente ceto medio, tenendo conto anche degli interessi delle élite e con vaste concezioni alle fasce sociali popolari. La “propensione populista”, mossa da opportunismo politico oppure da ideali astratti e poco concreti, costituirà molto spesso l’unica formula capace di unire politicamente il paese.
Venuto meno l’equilibrio della composita aggregazione populista, fatto avvenuto soprattutto in occasione di crisi economiche e sociali, il naturale sostituto per quell’unità diventano le armi: i colpi di stato e le dittature militari, orditi dai conservatori e dai potentati affaristici a tutela dei propri interessi, costellano la mappa storico-politica del paese dell’America Latina, e sono drammaticamente noti per la propria truculenza.
La “salsa argentina” (denominata tale per la consistenza miscellanea e la varietà degli ingredienti) conoscerà diverse incarnazioni, la più conosciuta e fortunata delle quali sarà il peronismo. Legato alle vicende personali del carismatico Juan Domingo Peròn (Presidente dal 1946 al 1955) e della popolarissima moglie Evita, il peronismo è l’apice del sincretismo politico argentino: assembramento personalistico di socialismo, giustizialismo, patriottismo con venature fasciste, e filantropismo misto a economia keynesiana e welfare state, tenuti insieme da richiami populistici e propagandistici e dalla potenza comunicativa.
Nelle sue successive incarnazioni, è stato sia di destra che di sinistra, a seconda degli interessi di classe di riferimento, e ha suscitato contrapposizioni politiche e militari accese, permeando di sé l’intero spettro politico argentino, e rimanendone il baricentro fino ai giorni nostri.
Verso le elezioni: il neoliberismo di Macri alla prova delle urne
Con la fine delle dittature militari (1983), si sono avvicendati alla guida del paese forze politiche ispirate al giustizialismo peronista o al radicalismo liberale, che non hanno saputo affrontare adeguatamente i cronici problemi socio-economici dell’Argentina, dalla disoccupazione alla corruzione.
Nel 2003, dopo il default finanziario e le proteste di piazza al grido di “que se vayan todos”, si afferma il centro-sinistra peronista di Néstor e Cristina Kirchner, che governerà fino al 2015, sulla scia del successo della stagione progressista dell’onda rosa in America Latina.
Il populismo di sinistra dei Kirchner, marcatamente protezionista, personalista e dirigista, non riesce comunque ad affrontare con successo gli atavici problemi socio-economici del paese: tramonta assieme alla risacca dell’onda progressista, e perde le elezioni a favore della recrudescenza di una rinnovata destra neoliberista e liberoscambista, vicina agli USA: quella di Mauricio Macri, leader di “Proposta Repubblicana” e fautore della liberalizzazione del mercato con la promessa di benessere diffuso, in realtà circoscritto agli interessi delle classi medio-alte.
Alla scadenza del mandato, il governo Macri ha tuttavia disatteso questi obiettivi: la fragilità economica argentina, che si esprime attraverso l’indebitamento delle casse pubbliche, l’alta inflazione e la disoccupazione sopra il livello di guardia, permane. Con le pre-elezioni primarie tenutesi l’11 agosto, concretamente di scarso valore poiché non elettive di nessuna carica ma preziose per saggiare il consenso delle forze politiche in campo, il Presidente in carica ha incassato una cocente sconfitta a favore del blocco kirchnerista, con conseguenze disastrose per la borsa di Buenos Aires, indicative dell’intensificarsi di una grave crisi economica.
Proprio per quest’ultima ragione, la corsa è ancora aperta: le elezioni del prossimo ottobre, precedute da un’intensa campagna elettorale che si prevede aspra e intensa, racconteranno di una competizione praticamente a due (salvo grosse sorprese), che contrapporrà peronismo/populismo e affari.
Dunque un eterno ritorno, quello della politica blanco-celeste: l’epopea democratica argentina è segnata dalla mancanza di soluzioni di governo pragmatiche, soffocate dall’effervescenza ideologico-populista e dal proliferare di “terze vie” big-tent. Va sottolineato che in misura sempre maggiore queste pulsioni politico-demagogiche vanno diffondendosi prepotentemente in tutto l’Occidente, e le lezioni da trarne sarebbero preziose.
Qualunque sia l’esito della contesa tra Macri e Fernández (candidato kirchnerista), il risultato sarà ugualmente dirompente, proprio perché nel segno del passato.
Luigi Iannone