«È l’inizio di una nuova era, che ci porterà verso le opportunità di crescita e progresso di cui abbiamo bisogno».

Sebbene sappiano di consueta retorica post vittoria elettorale, le prime dichiarazioni del neopresidente argentino Mauricio Macri non sono fatte di parole di circostanza.

La “nuova era” appena cominciata in Argentina rientra nell’ampia prospettiva di un cambiamento annunciato già prima del verdetto delle urne, dovuto alla fine di dodici anni di presidenza Kirchner. Che a spuntarla fosse stato Daniel Scioli (candidato appoggiato dalla presidente uscente Cristina Fernández de Kirchner e presidente della provincia di Buenos Aires) o il carismatico sindaco della città di Buenos Aires Macri, la politica argentina si sarebbe ugualmente trovata ad affrontare un grosso cambiamento.

La storia di Mauricio Macri e della sua famiglia è una storia di emigrazione che parte dall’Italia degli anni ’30, in cui Giorgio Macrì (nonno di Mauricio, originario di Polistena in provincia di Reggio Calabria) aveva creato un’impresa edilizia la cui espansione lo condusse prima in Africa e poi in Argentina. Il figlio Franco lo raggiunse nel 1949 e, dieci anni dopo, la moglie di quest’ultimo Alicia Blanco Villegas diede alla luce Mauricio. L’imprenditoria edilizia rimase, per tutti questi anni, il business della famiglia Macri, nonostante le divergenti idee sulla gestione dei patrimoni tra Franco Macrì e suo figlio Mauricio, la cui linea imprenditoriale si adattò in maniera ben aderente al progetto dell’allora presidente Carlos Menem sulla privatizzazione delle imprese statali. La saga politica e manageriale di Mauricio Macri conobbe una definitiva impennata nel 1995, in seguito all’elezione alla presidenza del popolarissimo club calcistico del Boca Juniors, per poi culminare nell’elezione a sindaco di Buenos Aires nel 2007.

Oggi, la vittoria del conservatore Mauricio Macri e del suo partito Propuesta Republicana sul neoperonista Scioli (51,4% contro 48,6%) lancia la terza economia sudamericana verso la prospettiva di una liberalizzazione radicale in cui le parole crescita e progresso si tradurranno in una dose massiccia di investimenti volta a minare i cavilli economici sui capitali che hanno caratterizzato l’approccio protezionista di Nestor e Cristina Kirchner negli anni passati. I tasti su cui la campagna elettorale del neopresidente ha costantemente battuto sono, infatti, le tradizionali priorità della linea politica neoliberista in America Latina e non solo: riduzione del tasso di inflazione (che in Argentina attualmente oscilla tra il 20 e il 30%) e apertura verso i mercati globali.

Proprio per questa ragione, i risultati delle presidenziali argentine del 2015 proiettano il paese ben oltre la prospettiva di una svolta esclusivamente regionale: gli interessi e gli equilibri internazionali smossi dalla vittoria di Macri sono di considerevole portata, tanto nella sfera delle relazioni diplomatiche con gli altri paesi dell’area quanto nelle prospettive di partnership nordamericane ed europee.

Le direttive liberoscambiste che partiranno dalla Casa Rosada saranno rivolte ad un avvicinamento diplomatico tra l’Argentina e gli Stati Uniti, ma è sul sistema di alleanze interne latinoamericane che l’effetto-Macri annuncia di essere devastante: ancor prima di essere eletto, il neopresidente ha infatti reso nota la sua intenzione di applicare la clausola democratica dello statuto di Mercosur/Mercosul (il mercato comune sudamericano) per escludere il Venezuela dall’alleanza. Macri ha aspramente criticato Nicolás Maduro sul tema dei supposti abusi nei confronti dei “presos politicos” venezuelani e delle violazioni dei diritti dei dissidenti del governo di Caracas. Questa ondata neoliberista quasi sicuramente avrà influenze non solo sul Venezuela ma anche su tutti gli altri paesi dell’ALBA (Alianza bolivariana para América Latina y el Caribe), in particolar modo l’Ecuador di Rafael Correa e la Bolivia di Evo Morales, che vedevano nel peronismo argentino il proprio principale alleato.

Cristiano Capuano

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