Buona domenica, amici nuovi e di sempre, e un sincero grazie per la vostra compagnia.
Ne abbiamo viste di tutte in questi ultimi tempi, e non possiamo certo dire che il 2015 abbia esordito di gran galà, lasciandoci anzi abbastanza rammaricati e perplessi, per non dire di peggio. Eppure, se i presupposti sono tali, mi spiace interpretare l’uccellaccio del malaugurio della domenica, ma devo ammettere che le prospettive non è che appaiano poi molto migliori.
Dall’introduzione del Jobs Act alle dimissioni del presidente Napoletano, un fil rouge ci conduce verso il completamento ulteriore del percorso unitario (o autoritario?) delle riforme, che si concretizzerà nella presentazione della “Buona Scuola”, nella definizione della nuova legge elettorale (l’Italicum), nell’elezione di un nuovo PdR “condiviso”, più altri ninnoli ed amenità varie.
Nulla per cui esaltarsi, a mio modesto avviso, né tantomeno alcunché di roboante e rivoluzionario. Le tanto decantate riforme stanno sì palesando un volto nuovo all’Italia del larghintesismo: ma trattasi di una maschera deforme e raccapricciante, piagata da discutibili compromessi e imperdonabili elisioni alle tutele, ai diritti, alla dignità del comune cittadino.
Un esempio? Il discorso di Matteo Renzi a Strasburgo, in occasione della conclusione del semestre di presidenza italiano presso il Parlamento Europeo. Ebbene, il Primo Ministro ha avuto la faccia tosta, il barbaro coraggio di affermare che “le famiglie italiane si stanno paradossalmente arricchendo”.
Ora, lungi da me l’adeguarmi allo spicciolo populismo di certa politica, ma dichiarazioni simili fanno terrore e ribrezzo. Perché utilizzare un numero (nella fattispecie, quello del risparmio privato) per generalizzare la situazione di un intero Paese è non solo oltraggioso, ma persino di un’offensività disarmante. Renzi dimostra una volta di più di non avere il minimo interesse verso i centinaia di migliaia di nuclei familiari sull’orlo del baratro, preferendo confortarsi di un dato statistico che dovrebbe invece costituire per lui motivo d’onta e di vergogna: poiché non fa altro che riflettere l’abnorme sperequazione nella distribuzione della ricchezza che, soprattutto in periodi di crisi, accentua il divario fra poveri e benestanti.
Ma si tratta di Renzi, e allora guai a polemizzare. Lo squallido esibizionismo di retorica a cui siamo costretti ad assistere è diventato uno stucchevole esercizio di paraculismo a cui gli italiani sono ormai così assoggettati da ritenersene quasi onorati.
Del resto, le previsioni economiche si aggiornano in continuo peggioramento e gli operatori finanziari restano spasmodicamente appesi al capezzale della BCE, attendendo l’iniezione sedativa di liquidità per raggomitolarsi in un angolo a godersi l’overdose di denaro. Nel frattempo, una cosa dovrebbe aumentare ed è la percentuale di disoccupati del Paese. Insomma, tutto come copione.
Nel marasma democratico c’è, poi, la tendenza sempre più accentuata a chinare il capo e limitare il dissenso a qualche scampolo di esibizionismo mediatico: giusto per far vedere che qualcosa si agita, come uno stagno mosso da un sassolino che torna ben presto a sopire le proprie acque.
Sto parlando di loro, della “minoranza dem”, una razza inserita dal WWF tra le specie in via d’estinzione e il cui tipico verso di contraddizione si esplicita in un rigoroso centralismo democratico esercitato “per il bene della ditta”: ovvero, per la tenuta istituzionale di un governo che non hanno voluto, non condividono e criticano ad ogni occasione. Salvo poi appoggiare quando si tratta di far danni al Paese, ovvero in Parlamento.
Sono i vari Civati, Cuperlo, Bersani, Fassina, Mineo e “compagnia”, quelli che la scissione oggi no, domani forse, dopodomani sicuramente. Salvo qualche sporadico ed isolato caso di disobbedienza, hanno perso da tempo ogni credibilità e, sinceramente, pure stancato con le loro minacce meno credibili delle profezie di Nostradamus.
Insomma, se questo è lo stato delle cose, conservare una traccia di vago ottimismo è ben più di un atteggiamento ipocrita: è autolesionismo allo stato puro. E la ditta Renzi – Berlusconi, tramutata ormai in ditta(tura) istituzionale, rischia di rendere l’Italia una SpA in cui solo gli azionisti avranno diritto di voto.
Se vorrete accompagnare le vostre riflessioni alle mie, sarò lieto di raccoglierle nei commenti, oppure con una mail a ilbrainch@liberopensiero.eu
Nel frattempo, buona domenica ed alla prossima.
Emanuele Tanzilli
@EmaTanzilli