I periodi di forte crisi economica e sociale hanno storicamente come risultato il sorgere di movimenti estremisti, che raccolgono i consensi di coloro che hanno perso fiducia in una politica, per così dire, moderata.
Questa tendenza è presente da diversi anni in Europa, ma fino a poco tempo fa era rimasta, in un certo senso, relegata a Paesi con un peso specifico minore rispetto a quella che si può considerare la locomotiva del continente: la Germania di Angela Merkel, esponente del partito dell’Unione Cristiano-Democratica (CDU).
Lo scorso 13 marzo si è votato in tre Länder (Stati federati) tedeschi – e, precisamente, in Baden-Württemberg, Renania-Palatinato e Sassonia-Anhalt – per il rinnovo del Governo Regionale.
Un appuntamento dal notevole valore simbolico, poiché è stata la prima occasione in cui si è potuto tastare il polso di una parte dell’elettorato con riferimento alle scelte politiche più recenti del partito di governo federale.
Si attendeva, in particolare, una risposta in merito alla politica sui rifugiati, e i risultati hanno lasciato pochi dubbi: gli estremisti di Alternative für Deutschland (AfD) hanno conquistato seggi in tutti e tre gli Stati, con l’exploit della Sassonia, dove questo partito si è rivelato il secondo dietro la CDU, ottenendo il 24.2 % delle preferenze.
Chi sono i nuovi protagonisti della politica regionale tedesca?
Di certo non dei moderati, visti gli slogan decisi (“Basta al caos dell’asilo”, “Mettere in sicurezza in confini”) con cui hanno accolto i rifugiati, esprimendosi sulla strategia del governo federale sulla questione dell’emergenza umanitaria.
Parliamo, in altri termini, di un partito che non renderà vita facile alla CDU, viste le posizioni politiche con cui si identifica. Un’etichetta che, tuttavia, è stata categoricamente rifiutata da Joerg Meuthen, il vincitore di AfD nel Land di Stoccarda, il quale sostiene che in politica «ci hanno fatto passare per degli idioti. Non hanno ascoltato i nostri argomenti. Ci hanno dato degli estremisti di destra, il che non siamo, e non diventeremo. Ci hanno dato dei razzisti e degli xenofobi, cosa che neppure siamo».
Al di là di queste dichiarazioni – che sono servite comunque a prendere le distanze da certi estremismi che da queste parti non sono mai stati dimenticati – è interessante analizzare le implicazioni politiche della tornata elettorale appena conclusa, sia da un punto di vista nazionale che continentale.
In primo luogo, è di tutta evidenza che il sostegno popolare alla politica di Angela Merkel ne esce notevolmente ridimensionato, con particolare riferimento al problema dei rifugiati, che sembravano essere stati accolti con favore al momento dell’apertura delle frontiere, avvenuta lo scorso anno.
Dai Welcome Refugees scritti sugli striscioni dei tifosi di calcio alle manifestazioni di piazza, molto è cambiato nella Germania negli ultimi mesi, in proporzione agli umori che si registrano oggi anche in altre parti d’Europa.
In Italia, ad esempio, Matteo Salvini si è subito detto soddisfatto per la vittoria dell’AfD, sottolineando le similitudini con il programma del suo partito e proponendo l’instaurazione di un dialogo e la stesura di accordi con la Lega Nord.
Le conseguenze più rilevanti, tuttavia, si avranno sul fronte internazionale, dal momento che adesso, in un clima di già forte sfiducia nel progetto europeo, si dovrà necessariamente fare i conti con un nuovo interlocutore – non certo favorevole ad un’Europa così com’è – le cui fila si irrobustiscono a ritmo esponenziale.
Carlo Rombolà