Riuscire a mantenere rapporti tra leader internazionali che permettano loro di perseguire una stabilità geopolitica non è mai semplice. Il tutto va complicandosi quando in gioco ritroviamo attori come Donald Trump e Kim Jong-un. Ambedue i presidenti, rispettivamente degli USA e della Corea del Nord, infatti, non sono certo famosi per il proprio animo mite.
A dimostrazione di ciò, Trump e Kim Jong-un hanno dato segni certi di navigare in cattive acque attraverso una serie di minacce che oggi sembrano per molti preannunciare un imminente scontro.
Alcuni hanno parlato della zona nord-coreana come della «pietra angolare su cui si scaricano le tensioni fra le massime potenze mondiali», il che spiega anche il motivo per cui uno scontro tra i presidenti di USA e Corea del Nord non può preannunciare nulla di buono.
Nello specifico, basti pensare che la Corea del Nord e la Cina sono separate unicamente da due fiumi. Dall’altro lato troviamo la Corea del Sud, sui cui territori gli Stati Uniti schierano le proprie milizie, e la Russia, chiaramente schierata al fianco del governo di Kim Jong-un. Certo non bisogna dimenticare che l’intera penisola coreana era un tempo sotto il dominio giapponese, e proprio tali ragioni impediscono al Giappone di restare indifferente alle vicende che si succedono in queste terre.
Tornando agli Stati Uniti, facendo un passo indietro a qualche giorno fa e nello specifico al 12 aprile, non di poco conto è stata la conversazione telefonica tenutasi tra i presidenti Trump e Xi Jinping. Il leader cinese in quest’occasione ha voluto riflettere sulla «necessità di una soluzione attraverso mezzi pacifici», richiedendo che mediante il dialogo venga risolta la questione nordcoreana. Nonostante ciò, Trump resta fermo sulla sua posizione, e attraverso Twitter afferma che nel caso in cui la Cina non dimostrasse di voler agire, toccherà agli USA risolvere il problema. In risposta a quanto dichiarato, la Cina ha ordinato alle proprie compagnie nazionali di smettere di importare carbone dalla Corea del Nord, interrompendo così i rapporti economici con Pyongyang.
Sin dalla fine della Guerra di Corea, risalente al 1953, la presenza di soldati statunitensi sul suolo sudcoreano ha impedito attacchi da parte della Corea del Nord. Dal proprio canto, quest’ultima ha dispiegato forze militari in grado di radere al suolo l’intera Seoul lungo la zona demilitarizzata che divide il suolo del nord della penisola dal sud della stessa, come deterrente nei confronti degli USA. La situazione si è ampiamente complicata dal momento in cui, attraverso test che la Corea del Nord sembra star facendo, cresce la minaccia di missili balistici a lunga gittata in grado di colpire la costa occidentale degli Stati Uniti.
Il ritiro degli USA dal Trattato ABM ha permesso al presidente Trump di dispiegare verso la Corea del Nord il proprio sistema di difesa missilistica, da lui definito «armata», costituito dalla portaerei Carl Vinson.
La Nord Corea non tarda a rispondere alle minacce del presidente degli USA, parlando addirittura di conseguenze catastrofiche se nuove provocazioni verranno avanzate e dicendosi pronta a rispondere a qualsiasi tipo di aggressione.
Il viceministro degli Esteri nordcoreano Hang Son Ryol in un’intervista all’agenzia AP parla della possibilità di entrare in guerra, se necessario.
Parole più forti provengono, invece, dal portavoce del Comando generale di Pyongyang, il quale afferma di essere pronti a «controazioni più dure contro gli Usa e i loro vassalli… senza alcuna pietà, tali da non permettere all’aggressore di sopravvivere».
Sulla questione il ministro degli Esteri cinese Wang Yi si dimostra preoccupato: «Si ha la sensazione che un conflitto potrebbe scoppiare da un momento all’altro. Penso che tutte le parti interessate dovrebbero mantenere alta la vigilanza per quanto riguarda questa situazione». Inoltre, forse in risposta a tali preoccupazioni, da lunedì saranno sospesi i collegamenti aerei tra Pechino e Pyongyang della Air China.
Nonostante ciò, la Corea del Nord non si lascia intimorire e dimostra di non voler arretrare. Parole provocatorie vengono, infatti, dal ministro degli esteri Han Song-ryol: «Condurremo altri testi missilistici su base settimanale, mensile e annuale. Sarà guerra a tutto campo».
Anche dalla Russia arrivano voci di crescente timore data «l’escalation delle tensioni nella penisola coreana»; il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov chiede, infatti, a tutti i Paesi di «dar prova di moderazione e ammoniamo contro qualsiasi azione che potrebbe portare a misure provocatorie».
Nonostante i numerosi inviti a «non permettere che la situazione diventi irreparabile e fuori controllo», gli USA non si fermano.
Indiscrezioni non ancora confermate dal Pentagono affermano che Washington sia pronto per un raid preventivo con armi convenzionali contro la potenza nordcoreana, in caso di avvenuti test nucleari da parte di quest’ultima.
Nel frattempo giunge notizia che nelle ultime ore anche il Giappone ha deciso di entrare in campo, nello specifico al fianco delle flotte USA, inviando navi militari verso la penisola nordcoreana.
L’attenzione per il temuto test nucleare, ad ogni modo, è rimasta alta il 15 aprile: data fondamentale della storia nordcoreana, simboleggiando l’anniversario del presidente eterno Kim Il-sung. In questa data, infatti, la Corea del Nord ha tentato il lancio di un missile, fallito per ragioni non ancora chiare, tanto che alcuni ipotizzano un’azione di sabotaggio da parte degli hacker al servizio dell’intelligence americana.
In ogni caso, Mosca si dice scettica riguardo alla possibilità che l’esercito nordcoreano sia in possesso dell’atomica, ma si ritiene comunque che Pyongyang sia in grado di produrre plutonio utile per la costruzione di otto atomiche rudimentali.
«Le armi atomiche mantengono Kim Jong-un al potere e la tecnologia della Corea del Nord sta migliorando rapidamente. Il leader nordcoreano non rinuncerà mai al suo programma nucleare, ma alle giuste condizioni potrebbe accettare di congelarlo. Per questo è arrivato il momento di comportarsi con lui in modo intelligente», afferma Tania Branigan del Guardian.
Ginevra Caterino