Il Job Act sembra quella linea di confine dove non ci si può inoltrare, il Pd lo sa e al suo interno la dialettica si fa sempre più aspra. La discussione intorno al Decreto prende forma, con le dichiarazioni di quel giovane turco di Matteo Orfini, poi diventato renziano di ferro:”I titoli del Jobs Act sono condivisibili. Lo svolgimento meno: ne discuteremo in direzione, ma servono correzioni importanti al testo“, ha scritto su twitter, lasciando intendere che le intenzioni in generale sono positive, ma vanno riviste molte cose. Traducendo dal politichese all’italiano significa che in queste condizioni il decreto non farà molta strada.
I titoli del jobs act sono condivisibili. Lo svolgimento meno: ne discuteremo in direzione, ma servono correzioni importanti al testo.
— orfini (@orfini) 18 Settembre 2014
Dichiarazione che viene fuori dopo giorni di fuoco amico, con la Cgil che minaccia lo sciopero generale e con Maurizio Landini che avverte il Governo che, facendo un decreto, ci sarebbe uno strappo insormontabile. Tutto da rifare? Pare di no, perché il Governo ha più volte dichiarato la necessità di intervenire sulla regolamentazione del lavoro.
Ma a tuonare contro Matteo Renzi è Pierluigi Bersani, il quale ultimamente ha più volte punto il Presidente del Consiglio: “E’ assolutamente indispensabile – ha detto in Transatlantico – che il governo dica al Parlamento cosa intende fare nel decreto delegato sul lavoro, perché si parla di cose serie“. Ha poi aggiunto: “Io mi ritengo una persona di sinistra liberale, penso che ci sia assolutamente la necessità di modernizzare le regole del lavoro dal lato dei contratti e dei servizi. Ma leggo oggi sui giornali, come attribuite al governo, delle intenzioni ai miei occhi surreali. In alcuni casi si descrive un’Italia come vista da Marte“.
Sulla questione dell’Articolo 18 ha poi detto: “Io vorrei ricordare che in tutta Europa, in Inghilterra, in Francia, in Germania, esiste, ancorché non obbligatoria, la reintegra. Quindi non ci raccontassero cose che non esistono, il governo deve chiarire quali sono i contenuti precisi, perché l’emendamento che è stato presentato, sulla carta, lascia aperta qualsiasi interpretazione. Leggo oggi sui giornali come attribuite al governo delle interpretazioni che secondo me vanno chiarite. L’abolizione della reintegra è uno degli aspetti, non è il solo“.
A difendere l’operato del governo c’è Debora Serracchiani, che cerca di fare la quadra: “Confidiamo – dice – che nella direzione nazionale del 29, dedicata a lavoro ed economia, si possa trovare il luogo della sintesi proprio all’interno del Pd. Questo partito ha dimostrato già in passato maturità, quando si pensava si sciogliesse come neve al sole, come sulle riforme. Abbiamo convocato la direzione, certo – osserva – non perchè l’ha chiesta Fassina ma perchè si tratta di un tema importante e si discute nella nostra comunità, negli organismi di partito“.
Proprio Fassina, l’altro giorno ha utilizzato parole di fuoco contro il Presidente del Consiglio: “L’emendamento proposto dal governo contiene tutte le ricette della destra agognate per anni e arginate finanche durante il governo Monti, in condizioni politiche molto meno favorevoli di oggi“. Toni alti anche per Cofferati: “La cancellazione del reintegro in caso di licenziamento discriminatorio è un grave errore politico“. Per lui, l’unico modo per incentivare l’occupazione è “la vecchia ricetta keynesiana: investimenti pubblici in grado di smuovere investimenti privati“.