In base alle notizie giunte sinora dalle nostre parti, siamo stati autorizzati a immaginare l’ISIS, e con esso tutta la vasta zona sotto il suo dominio, non come un cosiddetto Stato guscio, ma come un’organizzazione arretrata, tanto culturalmente quanto civilmente, soprattutto se messa in confronto con il sistema occidentale, di gran lunga più moderno ed evoluto.

La notizia è che tutto ciò potrebbe non essere vero. Anzi, sicuramente non lo è. Con questo non si vuole dire che il gruppo terroristico che si fa chiamare Stato Islamico abbia migliorato, con i suoi metodi, le sorti delle popolazioni dei territori conquistati, ma solo che l’errore più grave che l’Occidente possa commettere in questo momento sia proprio quello di sottovalutare il nemico.

Come scrive Loretta Napoleoni nel suo saggio intitolato “Isis, lo Stato del terrore”, esiste una situazione di fatto, per usare un termine giuridico, che corrisponde al risultato di un processo tramite il quale un gruppo armato costruisce la infrastrutture socioeconomiche – come la tassazione e i servizi per l’occupazione – di uno stato, in assenza di una struttura statale riconosciuta a livello politico, data da un territorio delimitato di riferimento e dalla sua autodeterminazione.

Questa entità para-statuale prende il nome di Stato guscio, ed è proprio ciò che l’ISIS ha provato, con buone probabilità di successo, a creare all’interno dei territori conquistati, a partire da Raqqa, la capitale.

Come risulta da un’inchiesta del Guardian, ripresa dalla rivista Internazionale, lo Stato Islamico sta mettendo in atto una vera e propria opera di ricostruzione, che va dalle strade agli ospedali, dagli asili ai mercati, passando per l’organizzazione dei cosiddetti dipartimenti centrali, assimilabili ai nostri ministeri, impegnati a gestire gli affari più importanti dell’ISIS, fra cui, naturalmente, lo sfruttamento del petrolio.

Da un punto di vista giurisdizionale, lo Stato Islamico ha dato il via a un programma di unificazione fra le aree appartenenti a paesi differenti, in modo tale da uniformare anche l’amministrazione della giustizia. E’ stata creata, inoltre, una nuova entità amministrativa, la provincia dell’Eufrate, estesa su entrambi i lati dei confini fra Iraq e Siria, facente parte, a sua volta, di un articolato sistema di province controllate dal gruppo, in tutto circa una dozzina.

D’altro canto, i problemi incontrati dall’ISIS nella costruzione di questo nuovo para-stato si riferiscono alla gestione del sistema universitario – ancora troppo diverso fra i diversi paesi – e di quello valutario, ancora sprovvisto di moneta unica.

Anche la burocrazia è stata completamente rivista dallo Stato Islamico, che ha sostituito la totalità delle precedenti amministrazioni, città per città, inserendo il proprio personale, sia a livello centrale che locale, ma lasciando intatta la posizione di figure professionali come i medici, gli infermieri e gli addetti alle pulizie.

L’obiettivo dichiarato di una simile strategia è quello di dare umanità ad un sistema sociale imposto con sanguinaria brutalità, il che risuona ancora più inquientate, soprattutto se si considera che, per certi versi, lo scopo è stato raggiunto.

Inevitabile, a questo punto, paragonare tale modus operandi con quello dei talebani, per fare un esempio vicino dal punto di vista cronologico: questi ultimi hanno sempre cercato di imporre con la forza il loro sistema di valori, senza neanche provare a riscuotere le simpatie del popolo, che restava sottomesso ai suoi aguzzini in un vortice di violenza e terrore.

L’ISIS, invece, punta alla legittimazione popolare, e in tale direzione si muove, cercando di incuriosire, accattivare e infine sedurre gli strati più influenzabili della popolazione, proponendosi come alternativa tanto a un occidente da sempre antagonista quanto allo stesso Islam, quello moderato, da ridurre al silenzio in nome di un’interpretazione restrittiva dei versi coranici, che costituiscono la base ideologica del moderno Califfato.

Sono tutti elementi che, come già espresso, l’Occidente non può permettersi di ignorare, anche perché non ci sarebbe mancanza più deleteria di quella di credere di avere a che fare con un nemico disorganizzato e sprovvisto di qualsiasi legittimazione.

Carlo Rombolà

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