Mentre l’attenzione dei media internazionali è concentrata sulla crisi del Golfo e sui recenti avvenimenti a Londra, l’altra sponda del Mediterraneo sta vivendo una nuova stagione di proteste: gli abitanti del nord del Marocco hanno dato vita a un movimento popolare che sta dando filo da torcere al regime, il quale ha prontamente reagito con arresti e repressione.

Hirak Chaabi (Movimento Popolare) è il nome che si sono dati coloro che nell’ultimo mese sono scesi in piazza ad Al-Ḥoseyma, nel Rif marocchino, guidati da Nasser Zefzafi, protestando contro la hogra, termine che in dialetto marocchino indica la rabbia che scaturisce dal subire ingiustizie da parte dello Stato, l’umiliazione nel vedere i propri diritti calpestati.

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Al Hoceima, maggio 2017 (El País)

Volendo individuare la fiamma che ha dato il via a questo incendio, culminato domenica scorsa in una grande manifestazione nella capitale, si potrebbe indicare la morte, avvenuta il 28 ottobre 2016, di Mouhcine Fikri. Il video della morte di Fikri, brutalmente macinato insieme al pesce spada che la polizia aveva sequestrato e gettato in un tritarifiuti, ha fatto il giro del web dando inizio a una serie di manifestazioni in tutto il paese. Quel fuoco sembrava essersi spento, finché il 18 maggio 2017 una dimostrazione pacifica si è svolta ad Al-Ḥoseyma e alcuni spettri sono tornati a far visita al Makhzen (la residenza reale del Marocco).

Il primo di questi è quello dell’indipendenza berbera: il Rif, di cui Al-Ḥoseyma è l’epicentro, è sempre stato una polveriera pronta a esplodere, danneggiando la stabilità del regime. Nel 1958 gli abitanti del Rif si ribellarono ad Hassan II, il padre dell’attuale re, che rispose militarizzando la zona e marginalizzando economicamente e socialmente la regione fino alla fine del suo governo. Quando nel 1999 Mohammed VI è asceso al trono ci fu una formale riconciliazione, tuttavia la zona del Rif, tra le più povere del paese, ha continuato ad essere dimenticata dal Palazzo e vessata dalla corruzione dei funzionari del governo.

Con la Primavera Araba del 2011, il popolo marocchino si riunì sotto la bandiera del Movimento 20 Febbraio e manifestò per una maggiore democratizzazione dello Stato, per il rispetto dei diritti umani, esprimendo la propria sfiducia nei confronti del governo. Le manifestazioni videro l’unione di tutte le frange della popolazione: islamisti e militanti di sinistra, attivisti della comunità Amazigh e attiviste per i diritti delle donne.

E questo è il secondo spettro che Mohammed VI deve fronteggiare, il ritorno del Movimento 20 Febbraio con la richiesta di maggiori diritti civili e di una maggiore partecipazione politica. La strada adottata è stata quella, già ampiamente battuta, della cooptazione e poi della repressione: ad alcuni tentativi falliti di calmare le acque, Zafzafi si è rifiutato di sedere ad un tavolo con i rappresentanti del re, sono seguiti gli arresti di massa, in particolare dei leader delle dimostrazione Nasser Zafzafi e Silia Ziani, e una campagna di diffamazione che ha insistito molto sulla fitna (separazione) bollando i manifestanti come “indipendentisti“.

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Nasser Zafzafi, Al Hoceima (El País)

Le richieste di Hirak Chaabi sono chiare. Dal punto di vista politico, chiedono innanzitutto chiarezza sugli eventi relativi alla morte di Mouhcine Fikri e di altre cinque persone morte nel 2011 ad Al-Ḥoseyma, domandano la liberazione dei membri del Movimento e la sospensione della persecuzione legale dei piccoli coltivatori di cannabis della regione, oltre che il riconoscimento del regime militare al quale il Rif è stato sottoposto, più o meno esplicitamente dal ’58.

Dal punto di vista economico, vogliono che il governo costruisca poli industriali nel campo ittico e dell’agricoltura, i principali rami d’occupazione della regione, liberi dalla corruzione e dal lobbismo, così da implementare l’economia assicurando maggiore protezione sociale ai piccoli lavoratori locali.

Chiedono anche un miglioramento nelle vie di comunicazione della regione, in particolare l’aeroporto Charif Idriss, la linea ferroviaria e la rete autostradale, oltre che la costruzione di un università regionale, licei e ospedali attrezzati, strutture di base di cui la zona del Rif è carente.

Ecoutez le Rif” è il titolo dell’editoriale di Aïcha Akalay, che si esprime contro la risposta securitaria del governo alla crisi del Rif. Telquel Maroc, di orientamento laico e democratico, ha riportato le voci di moltissimi intellettuali e militanti marocchini a sostegno delle proposte del Movimento. Questo manifesto di solidarietà elenca una lista di sette condizioni da rispettare affinché possa esserci un dialogo tra i manifestanti e il re, tra cui: «il riconoscimento della legittimità delle rivendicazioni sociali, economiche e culturali di una delle nostre regioni», «la rottura con tutte le accuse di tradimento a carico del movimento», «il trattamento delle rivendicazioni del movimento nella cornice della pace civile, garantendo i diritti delle cittadine e dei cittadini».

Domenica 11 giugno 2017 l’ondata di protesta ha investito anche Rabat, vedendo anche la rinascita dalle sue ceneri del movimento Giustizia e Spiritualità, un movimento islamista di orientamento radicalmente anti-monarchico (illegale ma tollerato), il quale ha espresso la propria solidarietà al Hirak, invocando la scarcerazione dei membri del Movimento (che secondo El País sarebbero 86, aggiornati a giovedì 8 giugno). Al corteo di 15.000 persone hanno partecipato a titolo personale anche esponenti di partiti di sinistra come l’Istiqlal, di associazioni berbere o del PJD (il partito dell’attuale primo ministro).

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Donne in protesta (Internazionale)

La situazione si fa sempre più incandescente, e mentre Zafzafi dalla prigione chiama una nuova protesta per il 20 luglio, secondo Radio Onda d’Urto, 25 manifestanti sono stati condannati a 18 mesi di carcere. Dal canto suo Mohammed VI non ha ancora rilasciato dichiarazioni sull’argomento e anche il neoeletto presidente francese Emmanuel Macron, in visita a Rabat il 14 giugno, si è limitato a dichiarare di non aver riscontrato volontà di repressione da parte del re ma piuttosto una sincera preoccupazione “per le sorti di una regione che gli è cara”.

Claudia Tatangelo

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