Il Regno resta unito: hanno vinto i “No” del 55% degli scozzesi unionisti contro il 45% degli indipendentisti. Affluenza record: l’85% si è recato ai seggi per decidere il futuro del paese.
Soddisfatto David Cameron: “Mi sono congratulato con Alistair Darling per una campagna ben condotta“. Il primo ministro scozzese, Alex Salmond, ammette la sconfitta, precisando che: “La Scozia si aspetta che la promessa di devolution venga onorata in tempi rapidi“.
La Scozia resta parte integrante della Gran Bretagna, ma Londra, ora, deve mantenere la promessa di concedere più autonomia fiscale, politica e culturale al governo scozzese.
I tre più grandi partiti del Regno Unito – i conservatori, laburisti e liberal-democratici – concordano sul fatto che l’ulteriore decentramento dei poteri di Holyrood deve avvenire. Durante la campagna referendaria, infatti, le parti hanno firmato un impegno a devolvere maggiori poteri alla Scozia. Ciò che ora interessa è il tempo.
L’ex premier britannico, nonché sostenitore del “No”, Gordon Brown, ha dichiarato che il governo di Londra presenterà una proposta entro la fine di ottobre per arrivare al voto alla Camera dei Comuni a fine Gennaio. Il rischio, però, sono le elezioni generali di Maggio: lo “Scotland Act” rischia di essere discusso ed approvato dal nuovo Parlamento.
Diverse sono le proposte in campo: il partito Laburista propone di variare l’imposta sul reddito, ma non il potere di tagliare l’aliquota fiscale; i conservatori propongono di lasciare alle Scozia il controllo totale sui tassi di imposta sul reddito. Holyrood sarebbe anche responsabile per il 40% del denaro speso; i Liberal Democratici propongono di dare potere su imposte sul reddito, di successione e sulle plusvalenze. Il partito ha anche sollecitato la demolizione l’Atto di Unione tra Scozia e Inghilterra e la sua sostituzione con una dichiarazione di federalismo.
Niente di tutto ciò basterà per il Partito nazionale scozzese (PNS): Alex Salmond, per quanto sconfitto, giocherà un ruolo fondamentale per garantire maggiore devoluzione possibile di poteri al suo paese.
Infatti, le pretese di Edimburgo vanno al di là di una semplice autonomia fiscale: gli scozzesi, pur avendo eletto un solo deputato conservatore, si trovano a essere governati da un esecutivo a maggioranza Tory, che prende decisioni in materia di difesa o di politica estera che la maggioranza degli scozzesi non condivide. Il Parlamento scozzese vuole avere voce in capitolo in materia di esteri e di difesa. Ancora, i proventi delle riserve petrolifere del Mare del Nord arricchiscono Londra: secondo il PNS, questi devono poter essere utilizzati dal governo scozzese per aumentare e migliorare lo stato sociale scozzese, nonché per rendere il paese un competitor internazionale per il greggio. Infine, la maggioranza degli scozzesi ritiene inaccettabile che i sottomarini nucleari inglesi stazionino nelle proprie basi territoriali. La Scozia punterebbe sulle energie rinnovabili e ha il potenziale di diventare leader in Europa nella produzione di energia eolica, dalle onde e dalle maree.
La strada per la devolution è tutt’altro che in discesa. La vittoria del “No” costringerà Londra a cedere su molte questioni, dovendo mantenere gli accordi presi con gli unionisti. Un conto salato per il governo britannico che dovrà assicurare a Holyrood il pieno controllo delle entrate fiscali e delle politiche sociali, potendo quindi tutelare i disoccupati, mantenere i sussidi e le pensioni e garantire la continuazione di un servizio sanitario pubblico gratuito, nonché parificare i rapporti per le questioni di sicurezza e di politica internazionale.
Marco Di Domenico