L’area nord di Napoli, in particolare Scampia, subisce da anni il fenomeno dei roghi tossici nei pressi del campo rom di via Cupa Perrillo. La comunità rom, presente sul territorio da oltre 30 anni, insieme alle associazioni e i comitati sono stati sempre in prima linea per sollecitare il problema. Le istituzioni – come spesso accade – in tutti questi anni non sono stati capaci di fornire delle soluzioni, o almeno fino allo scorso 17 luglio.

La quotidianità ritrovata all’interno di un campo trasformato in un piccolo villaggio viene interrotta da un’ordinanza di sgombero da parte della Procura di Napoli. L’11 settembre sarebbe stata la data che avrebbe messo fine all’esistenza di una comunità presente sul quartiere a partire dagli anni ’70, integrata con il resto della popolazione locale e che ha vissuto le luci e le ombre di un quartiere in perenne mutazione.

Uomini, donne e bambini cacciati dalla propria casa senza preoccuparsi di come poter dare loro una sistemazione diversa. In meno di un mese la comunità rom ha dovuto fronteggiare l’ennesimo rogo, quello che avrebbe fornito ripercussioni ad oltranza. Il 28 agosto il campo rom brucia ancora e con esso anche l’umanità e la solidarietà. Durante l’incendio, gli abitanti di Cupa Perrillo non sono riusciti a salvare nulla, le fiamme hanno raso al suolo gran parte delle baracche.

Per far fronte all’emergenza, l’amministrazione comunale ha deciso di sistemare temporaneamente i rom nell’ex caserma Boscariello di Miano. Ma il popolo scende in piazza arrabbiato contro coloro che di colpe non ne hanno: una vera e propria guerra tra poveri si sta consumando in queste ultime settimane.

A fomentare i pregiudizi ci pensa una politica locale che pur di ricevere consensi è disposta a speculare sulle vite di chi ha perso tutto.

Aleggia un’aria tossica, e non solo per le conseguenze di anni e di anni di roghi: discriminazioni razziali sono sempre più frequenti, i luoghi comuni, la necessità di fermarsi alle proprie convinzioni e non andare oltre. Non si ha la volontà di riappropriarsi di quelli che sono davvero i propri diritti, o forse perché conviene che il popolo si distragga su quelle che sono realmente le problematiche del quartiere. Cresce il tasso di disoccupazione, il lavoro nero, la camorra è ancora presente sui territori, aumentano le stese, aumenta la dispersione scolastica. Ma nessuno ci dà peso, perché qualcuno ha deciso che al momento tutti i problemi di Scampia devono ricadere sui rom.

Pensarla così distrugge il lavoro che da anni numerose realtà nate dal basso compiono per il bene del quartiere. Basti pensare a Chikù, al primo ristorante in Italia che unisce la tradizione culinaria partenopea con quella balcanica, in cui napoletane e rom si ritrovano in cucina a lavorare insieme. Oppure all’associazione “Chi rom.. e chi no”, che segue ogni aspetto della vita della comunità rom, dall’inserimento scolastico e lavorativo all’integrazione nel tessuto sociale e culturale. E sempre a Scampia, da circa sei anni, si organizza il Mediterraneo Antirazzista, una manifestazione sportiva che ha come scopo lo scambio interculturale e l’integrazione. Finché ci saranno pratiche dal basso che accolgono e favoriscono i processi di inserimento sociale, Scampia non sarà mai razzista.

Maria Baldares 

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