Moda e sostenibilità. Credits: Pexels
Moda e sostenibilità. Credits: Pexels

Tanto affascinante quanto contraddittoria, l’industria della moda è divisa, ormai già da diversi anni, tra fast fashion e alternative più eco-friendly.

L’industria della moda produrrebbe fino al 15% delle emissioni globali di CO2, consumerebbe enormi quantità di acqua nella produzione dei capi – seconda solo all’agricoltura – e ricaverebbe tessuti principalmente da derivati del petrolio – circa il 70%. A questi numeri, si aggiungono le sempre più numerose isole di spazzatura alimentate dai capi d’abbigliamento invenduti o gettati dopo pochi utilizzi, le microplastiche che la produzione e i capi stessi liberano nell’atmosfera e nei mari – il 35% del totale -, come anche una serie di problematiche concatenate: consumo di materie prima, del suolo, deforestazione, biodiversità, oltre all’aspetto sociale della tutale del lavoro.

Insomma, è chiaro che i grandi colossi della moda non possono più ignorare l’urgenza di rendere l’industria del fashion più sostenibile. Ed è qui che entrano in gioco le nuove tecnologie, o forse no.

Nuove tecnologie e sostenibilità nel settore della moda

Il tema della sostenibilità è cruciale tanto per le grandi aziende quanto per il piccolo consumatore, entrambi grandi fans del concetto di circular economy. Uno degli ultimi trend è infatti quello di “riciclare” capi potenzialmente nuovi rivendendoli o scambiandoli: sempre più persone utilizzano Vinted per acquistare o vendere i Levis dei genitori o i cappotti della nonna, sempre più spesso si va a caccia di capi vintage nei mercatini dell’usato, e sempre più negozi e grandi catene dedicano uno spazio alla rivendita di capi utilizzati ma che hanno ancora tanto da offrire ai nuovi acquirenti.

Ma per rendere la moda completamente sostenibile, questo non basta. Con l’avvento delle nuove tecnologie, il Metaverso, l’intelligenza artificiale, la stampa 3D, il mondo del fashion sta vivendo la rivoluzione industriale 4.0. Le risorse e le possibilità che le nuove tecnologie offrono, anche al settore della moda, sono immense e molte di queste sembrano catapultarci nel futuro, senza renderci conto che il futuro è proprio oggi.

Grazie alle nuove tecnologie, ad esempio, è possibile creare materiali a partire da fibre sintetiche. Si tratta di tessuti tech versatili e dalle molteplici proprietà, sono infatti anti-UV, ignifughi, antibatterici, impermeabili e possono essere facilmente personalizzati grazie alle stampe 3D. Alcuni dei grandi brand di moda non hanno tardato a sfruttare le nuove risorse: tra questi la casa di moda Ferragamo si è lasciata conquistare dai tessuti ricavati dagli scarti di arance di Sicilia sintetizzate nel laboratorio dell’azienda fashion tech Orange Fiber.

Oltre ai nuovi materiali, anche il Metaverso offre potenziali soluzioni antispreco. Nella realtà virtuale, che crea spazi digitali e permette di interagire con essi, il mondo digitale e quello fisico si incontrano e convivono nella dimensione phygital. Un esempio sono i camerini del colosso americano COS, una porta tra l’universo fisico e il Metaverso, poiché al loro interno si trovano degli specchi – interfacce interattive – che consigliano al cliente come abbinare il prodotto che stanno indossando, quale taglia e colore potrebbero andare meglio, oltre a raccogliere dati sui gusti dei clienti in modo da riconoscere le tendenze del momento e prevedere quelle future, evitando in questo modo gli sprechi delle collezioni successive.

Nuove tecnologie nell’industria della moda. Credits: Pexels

Sfilate di moda con nuovi abiti tech e la visualizzazione di noi stessi con diversi abiti digitali può ancora andare bene. Più difficile da digerire è invece l’idea di continuare a giocare a un eterno The Sims in cui i protagonisti siamo noi. Nel Metaverso l’esperienza dell’acquisto – e fin qui ancora tutto sotto controllo – come anche della prova, la scelta e l’esibizione dei capi, diventa totalmente virtuale. La realtà aumentata, attraverso la quale possiamo visualizzare il mondo reale con oggetti digitali, è stata già utilizzata da Gucci nel 2021, per consentire ai clienti di indossare virtualmente le sneakers digitali, senza doversi recare in negozio. Ad oggi il più grande rivenditore di moda digitale è l’azienda DressX che ha reso possibile la digitalizzazione dell’esperienza dello shopping, dalla selezione del modello, della taglia, alla prova degli abbinamenti, fino poi all’acquisto del capo virtuale. Vestiamo non il nostro corpo, ma quello del nostro avatar, per fare foto e pubblicizzare brand, cui abiti avremmo indossato massimo per due ore nella nostra vita e che, se poi vogliamo, possiamo acquistare fisicamente. Comodo, veloce, antispreco, ma 100% sostenibile?

Secondo l’azienda americana, un capo digitale impatta meno sull’ambiente rispetto a uno fisico in quanto la sua produzione sembrerebbe emettere il 97% in meno di CO2 e risparmiare 3300 litri d’acqua. A ciò si aggiunge la considerevole mole di prodotti in meno da destinare al deserto di Atacama o alle spiagge discarica in Africa, e magari anche meno microplastiche in giro nell’aria e nei mari.

Eppure, come la storia ci insegna, progresso e regresso vanno troppo spesso a braccetto, e anche la rivoluzione 4.0 non tarda a mostrare i suoi lati bui. Di AI e Metaverso non si smette di parlare, invece poco o quasi per niente si parla di quello che si cela dietro le nuove tecnologie. Se da un lato le tecnologie più avanzate si presentano come fedeli alleate anche nel campo della moda nella lotta contro l’inquinamento e la crisi climatica, dall’altro bisognerebbe approfondire di cosa queste si nutrono e quali scarti producono. Ogni nostra azione nel digitale, infatti, non si alimenta di CO2 che trova nell’aria o di microplastiche che circolano ovunque, ma anzi produce tantissime sostanze inquinanti: l’Intelligenza Artificiale inquinerebbe quanto 20 milioni di automobili, e cioè per un singolo modello verrebbero prodotte 300 tonnellate di anidride carbonica, 5 volte meno di un’automobile ecologica durante il suo intero ciclo di vita.

L’idea di specchiarsi e poter scegliere cosa indossare e come abbinare i capi senza il minimo sforzo, diciamocelo, alletta non solo gli ambientalisti ma anche i più pigri che non hanno voglia di pensare a cosa indossare prima di andare in ufficio. Così come gli influencer possono facilmente sponsorizzare i brand preferiti senza necessariamente dover indossare quegli abiti fisicamente. Ma il gioco vale la candela? Probabilmente se le iniziative citate non venissero presentate come nuove proposte sostenibili, ma semplicemente come nuove frontiere nell’industria della moda, avrebbero molto più senso e potrebbero persino affascinare di più. Tuttavia, presentare dei prodotti con la maschera dell’ecosostenibilità senza mostrare le due facce della medaglia, lascia solo trapelare l’ennesima ipocrisia delle grandi industrie, di cui quella della moda ne è solo una delle tante.

Nunzia Tortorella

Nunzia Tortorella
Avida lettrice fin dalla tenera età e appassionata di ogni manifestazione artistica. Ho studiato Letterature e culture comparate all'università di Napoli L'Orientale, scegliendo come lingue di studio il tedesco e il russo, con lo scopo di ampliare il mio bagaglio di conoscenze e i miei orizzonti attraverso l'incontro di culture diverse. Crescendo, ho fatto della scrittura il mio jet privato.

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