Con il lancio della Nuova Via della Seta, la Cina si pone a capo di una nuova globalizzazione, che può portare vantaggi anche ai tanti partner commerciali attraverso gli investimenti cinesi. Ma come può approfittarne l’Italia?
Alla presenza dei leader di 29 paesi, è stato presentato in questi giorni a Pechino il progetto “One Belt One Road“. L’iniziativa della Nuova Via della Seta, di cui vi avevamo parlato nei giorni scorsi, punta allo sviluppo di diversi corridoi commerciali, per favorire l’apertura del mercato cinese al resto dell’Asia e all’Europa.
In un periodo in cui tanti parlano di protezionismo, insomma, la Cina va controcorrente e sembra pronta ad investire una cifra di circa mille miliardi nello sviluppo di nuove infrastrutture relative a quest’iniziativa, che potrebbe rappresentare una sorta di ‘piano Marshall’ del terzo millennio per tante economie in difficoltà.
Tra i paesi che guardano con occhio interessato alla Nuova Via della Seta c’è sicuramente l’Italia. Il premier Gentiloni era tra i capi di stato presenti all’incontro di Pechino, e ha ribadito in maniera decisa la necessità di una «maggiore efficacia dei processi di governance della globalizzazione», affermando poi che «l’Italia è pronta a fare la sua parte». Ma come può l’Italia sfruttare questa opportunità al meglio?
Il progetto “One Belt One Road” arriva in Europa attraverso due corridoi differenti: uno ferroviario e uno marittimo.
Il corridoio ferroviario parte da Xi’an per poi passare da Mosca e arrivare in Germania, dove si snoda verso i porti più importanti del Nord Europa (Amburgo, Rotterdam) e verso la penisola iberica, terminando a Madrid. L’ultima parte del percorso riprende in parte il Corridoio Mediterraneo 3 del progetto TEN-T (Trans-European Networks – Transport, reti di trasporto transeuropee), che parte da Lisbona e arriva a Kiev attraversando tra gli altri anche tutta l’Italia settentrionale. Per rendere praticabile questo percorso, però, sono ancora tante le infrastrutture mancanti; una fra tutte, la Nuova Linea Torino-Lione, i cui tempi di realizzazione si sono notevolmente allungati a causa delle forti proteste da parte dei movimenti No-TAV e che non sembra poter essere ultimata in tempi sufficientemente brevi.
Più praticabile sembra invece il percorso marittimo. Dopo aver attraversato il canale di Suez, il corridoio sbuca nel mar Mediterraneo. Qui la Cina, dopo le difficoltà riscontrate nel trovare un accordo con un porto del sud Italia (in particolare quello di Gioia Tauro), ha sfruttato il momento attuale di crisi della Grecia per acquisire attraverso la COSCO (China Ocean Shipping Company) il porto del Pireo ad Atene. Adesso però, i cinesi devono trovare un modo per trasportare le merci da Atene al cuore dell’Europa, ed è qui che si inserisce prepotentemente l’ipotesi di un porto nell’Adriatico o comunque nel nord Italia.
Durante l’incontro di Pechino, Gentiloni ha aperto a tre soluzioni: oltre alle già ipotizzate Trieste e Genova, si è aggiunta Venezia, ognuna con i propri punti di forza ma anche con le proprie problematiche.
Trieste e Venezia, oltre che per un discorso storico (il richiamo a Marco Polo è evidente) sarebbero preferibili rispetto a Genova anche sotto l’aspetto geografico, e potrebbero contare oltretutto su un sostegno reciproco attraverso la NAPA (Associazione dei Porti del Nord Adriatico, che comprende anche Ravenna, Rijeka e Koper). Sono però poco collegate con il continente per quanto concerne il successivo smistamento delle merci, ed inoltre il porto di Venezia, come ricordato dal deputato di MDP Michele Mognato, rischia di vedere drasticamente ridotta la capacità del canale commerciale a discapito di quello per le navi passeggeri.
Genova, dal canto suo, è uno dei principali porti commerciali d’Italia, ed è anche il punto di partenza del Corridoio Reno-Alpi 6 TEN-T che la collega direttamente con i porti del mare del Nord e con i centri economici della Ruhr, in modo da arrivare fino al cuore dell’Europa.
L’Italia deve però fare attenzione anche alla concorrenza proveniente dai Balcani: grazie sempre ad un finanziamento cinese, è in fase avanzata la preparazione di un progetto che colleghi Atene all’Europa centrale attraverso l’asse ferroviario Skopje-Belgrado-Budapest. L’opera dovrebbe costare intorno ai 3 miliardi di euro, e taglierebbe fuori l’Italia da qualsiasi velleità di collaborazione alla Via della Seta.
Un’occasione che l’Italia, in un momento come quello attuale, non può lasciarsi sfuggire.
Simone Martuscelli