La svolta della sinistra passa attraverso la sua definitiva dipartita. Questa frase piacerà ad alcuni, meno a molti altri, ma pazienza, è una vera e propria provocazione e va bene così.
Non c’è alcun dubbio sul fatto di ritrovarci in un periodo storico molto complesso, nel quale la crisi d’identità in Italia ha fatto tornare in voga tutto l’odio razziale che, evidentemente, si stava nascondendo e che aveva la necessità di una catalizzazione per poter esprimersi definitivamente. La Lega Nord e il Movimento 5 Stelle sono riusciti alla perfezione nel loro ruolo. Vista l’emergenza democratica, quindi, bisognerebbe trovare la forza di ridefinire, ripensare, teorizzare una forza di sinistra.
Qui bisogna superare la storia, stando ben attenti su quali basi costruire, partiamo dalla semantica. Molte parole non hanno più alcun significato per i cittadini, la stessa parola “sinistra”, “comunista”, o ancora, “centrosinistra”. Non si vive più di rendita e i 20 anni di fallimenti delle liste di sinistra dovrebbero averlo dimostrato ampiamente. Non basta mettere insieme un cartello elettorale e dire che rappresenta la sinistra per ottenere i voti, perché banalmente alle orecchie dei cittadini questo non significa più nulla. La storia lo ha dimostrato ed è tempo di affrontare la verità dura che nessuno ha avuto il coraggio di dire: a nessuno interessa un fico secco della sinistra italiana, dei suoi litigi, dei battibecchi, dei comunicati stampa e dei suoi appelli.
Alcuni, a questo mio paragrafo risponderanno che la sinistra in Europa è forte e non c’è bisogno di abbandonare la propria storia. Concordo sul fatto che nel nostro Continente le forze di sinistra hanno ripreso fiato e slancio, bisogna interrogarsi però dei percorsi che questi soggetti politici hanno fatto per poter rispondere a pieno all’affermazione. E una delle principali innovazioni che hanno integrato alla prassi è stata quella di rendersi maggiormente movimentisti e meno strutturati, per dare maggiore spazio alla presenza dei cittadini “comuni”.
Probabilmente alcuni chiuderanno la pagina quando leggeranno questa frase: il ‘900 è finito. Ma bisogna dirlo ad alta voce e pazienza se molti non comprenderanno quello che significa. Viviamo un villaggio globale e se solo pensiamo all’Europa ci accorgiamo presto che è profondamente cambiata. Da qui, i movimenti politici sono cambiati, i rapporti di forza non sono più gli stessi dalla caduta del muro, i pericoli sono diversi ed è tutto mondializzato.
In questo contesto bisogna misurarsi e adeguarsi, senza, appunto, rinnegare la propria storia e metterla da parte. Nessuno chiede questo, ma il discorso è sul cambiamento totale di comportamento, visione e prospettiva. Prendiamo in esempio il Movimento francese la France Insoumise di Mélenchon, il quale ha integrato diverse esperienze senza diventare Partito politico. Qualcuno in Italia ha pensato bene di compararlo al Movimento 5 Stelle e questa lettura lascia il tempo che trova, perché non ha alcuna base ideologica per affermare una stupidaggine del genere.
Innanzitutto la France Insoumise è un Movimento non spontaneo, viene da una lunga battaglia cominciata contro il Presidente Hollande sui provvedimenti economici. In quel periodo il Parti de Gauche aveva deciso di insistere e lavorare al fianco dei movimenti che contestavano il Governo. Da qui l’idea di lanciare il processo di ricostituzione di un popolo che lotta sullo stesso campo, ma che ha estrazioni diverse. Questo non ha significato chiamare i delusi del partito socialista, anche se in parte molti militanti vi sono rientrati, ma ha significato che l’apertura di un progetto movimentista che ha abbracciato tutta la sinistra fino a Pierre Laurent, il segretario del Parti Communiste Français. In questo quadro, la France Insoumise è un movimento che ha parlato e che parla anche ai centri sociali, che frequenta e che ha accolto senza alcun pregiudizio.
Non un calderone, attenzione, perché mettere insieme un popolo ha significato spendere molto tempo, lavoro intellettuale, ricerca sociologica. In una conferenza sulla France Insoumise, qualcuno ha dichiarato che “le persone si sono sentite pian piano sempre più abbandonate dai sindacati e dai partiti di sinistra e si sono rifugiati in un voto al Front National, non perché razzisti, ma perché avevano paura e hanno trovato un riparo. E molti di loro votavano PS, per cui un loro ritorno al popolo di sinistra sarebbe possibile, ma a condizione di accettare il programma elettorale “l’avenir en commun”.
Il cambio ha permesso un lavoro ideologico di trasformazione della prassi, nel senso che l’obiettivo primario di Jean Luc Mélenchon è la partecipazione massima dei cittadini comuni (non quella partecipazione post-ideologica dei 5 stelle che mettono insieme tutto ed il contrario di tutto). Cittadini comuni sfruttati ed abbandonati. La base ideologica è stata: non siamo il popolo di sinistra contro quello di destra. Siamo il popolo degli sfruttati contro il popolo degli oligarchi e della finanza. E quindi ecco quella che Mélenchon chiama l’era del popolo, rappresentato non più da una falce e martello, non più da una stella, non più da simboli storici, ma da una Phi greca.
Lo stesso percorso, nelle sue chiare differenze, lo ha seguito Podemos, che ha scelto un cerchio che dà verso l’infinito. L’idea è la stessa: siamo in un mondo nuovo con regole nuove, dobbiamo cercare di produrre una semantica diversa, una narrazione differente e provare ad incidere dal basso verso l’alto.
La sinistra in Italia non sembra aver alcuna intenzione di schiodarsi dalle proprie sicurezze ideologiche, quelle che ci coccolano e che però non ci permettono di darci risposte diverse a domande nuove. Eppure la crisi è talmente forte che qualcuno le domande le avrebbe già dovute porre. Evidentemente, non solo il problema è politico, ma forse è anche intellettuale. Ecco perché è necessario morire e disgregarsi, perché abbiamo la necessità di costruire una nuova esperienza, una vera e diversa prospettiva.
La crisi economica ha piegato la nostra società, ha sfinito le persone, le ha stancate e la sinistra è sembrata poco attenta alle necessità di difendere i diritti acquisiti, concentrandosi molto sul piantare una bandiera e autoassolversi e molto poco all’offerta politica di un’alternativa. Un’alternativa che non si è mai palesata visto che, ogni volta, ci si è concentrati alla costruzione di liste elettorali che non hanno mai portato ad un’iniziativa politica successiva. Questo è sicuramente un primo problema, ma non risolve quello ideologico di fondo.
In questo contesto si iscrive anche la débâcle del Partito Democratico, un grande calderone che ha messo insieme esperienze troppo diverse. È stato il soggetto politico che ha introdotto il blairismo in Italia, ha definitivamente messo da parte il comunismo e la sua storia per fare posto ad un liberalismo sociale insipido ed inconsistente. Archiviata l’esperienza socialdemocratica ed essendo passati su posizioni liberali e liberiste, il Partito Democratico ha dimostrato tutti i suoi naturali difetti: un partito calderone di posizioni diverse e contrastanti, con tante correnti in cui i candidati e i segretari sono scelti secondo il Cencelli, attraverso il classico metodo del “chi porta più tessere ha più potere politico”. E questo è innegabile, perché il Partito Democratico è stato facilmente scalabile in questo modo e per questo appetibile a personaggi poco raccomandabili anche del centrodestra.
Essendo diventato un partito di potere, il Partito Democratico ha definitivamente abbandonato (era già in corso lo spostamento del baricentro) il suo lato socialdemocratico quando è passato al governo Monti. Questo momento è stato decisivo per la crescita del populismo e del nazionalismo ed è un passaggio molto importante per comprendere quelle che sono oggi le evoluzioni in negativo delle elezioni del 4 marzo. Da quel momento è cominciata una lenta decadenza e conseguente sparizione della sinistra storica del nostro Paese. Renzi, poi, è stato il mattatore definitivo del già mezzo deceduto Partito Democratico, nonostate il fumo negli occhi del 40% delle europee.
Renzi è il prodotto del berlusconismo ed è stato detto e spiegato tante volte, su questo non c’è da aggiungere altro. Quel momento era drammatico, con un Bersani che perdeva leadership e credibilità, c’era bisogno di qualcuno che tenesse a bada i populisti e Renzi era la soluzione individuata dal Partito Democratico. Un populista di centro che ha iniziato la sua battaglia contro i vecchi del partito, contro l’establishment, contro i Massimo D’Alema e gli Antonio Bassolino. Questa sua cavalcata è durata poco perché, l’establishment del PD gli ha comunque portato voti e poi essere populisti nel PD è impossibile. Si è dimostrato il guardiano della spesa pubblica e delle regole europee, quasi più di Tremonti e non è riuscito a portare a casa nessuna vittoria significativa in Europa (su questo, comunque, non gli si può dare troppe colpe, il contesto è molto difficile).
In ogni caso, bisogna anche analizzare quello che è successo con la crisi economica: il Partito Democratico ha perso le elezioni perché la sua base sociale è sparita, il suo pubblico di riferimento non esiste più nella pratica e quello che rimane non è per niente maggioranza nel Paese. Il Partito Democratico aveva la stessa classe sociale di riferimento di tutti i partiti socialdemocratici europei che hanno subìto la sconfitta elettorale tra il 2016 e il 2018: una classe che abitava nelle grandi città, una classe sociale ascendente negli anni ‘80 e ’90, quella che faceva jogging, che portava a spasso il cane, che si spostava in bicicletta, che faceva il mutuo per comprare casa. Questa classe sociale non esiste più.
La classe media non è più ascendente, non aspira più ad abitare nei quartieri borghesi, ha soltanto paura del futuro, di perdere il lavoro, di svegliarsi una mattina e vedere la propria azienda che delocalizza. Ha paura di fare figli perché “in che Paese facciamo i figli?”, non ha più la speranza di un’ascensore sociale, è irrigidita e non si fida, vive con il mutuo sulle spalle ed un solo stipendio, con figli a carico che non hanno possibilità di lavoro (giovani che alla fine decidono di espatriare).
Ecco, il PD e in generale la CGIL hanno perso e la socialdemocrazia sta morendo perché non c’è più la classe sociale di riferimento. Avendola persa si è dovuto trovare un riparo e lo spostamento al centro ha permesso al PD di allearsi in maniera ufficiale con la classe sociale dei Sergio Marchionne. Pensavano che le persone non se ne fossero ricordate nelle urne?
Ma a parte le evidenti colpe del PD la sinistra ha poi fatto inspiegabili passi indietro, nonostante avesse un campo aperto di possibilità. Dopo il disastro di Ingroia sul quale è meglio stendere un velo pietoso è scattato il panico totale: dalle scissioni interne, al tutelare i propri orticelli, ai ventimila appelli di ricostituzione del partito comunista, al cambio di nome di partiti ed alla riduzione in barzelletta di un’idea davvero troppo importante.
Nessuno ha fatto mea culpa a sinistra, nonostante le colpe fossero tante e gravi, non ci si può nemmeno nascondere dicendo che la fase era complessa, perché sicuramente lo era, ma si sarebbe potuto fare di più se l’autonomia di azione e la necessità di fare quadrato e rilanciare l’attività politica non fosse stata ammazzata da chi pensava che l’alleanza con il PD era necessaria (e un mea culpa lo faccio anch’io, essendo che al tempo, dopo le elezioni, ebbi a dire che forse era meglio allearsi con il PD).
Il Partito Democratico è destinato a continuare a perdere punti percentuali ed a latitare, nemmeno il congresso risolverà quelli che sono gli evidenti problemi di un soggetto che ha perso il suo popolo di riferimento. E l’immagine che si ha di questo partito, ormai, la dice lunga sulle sue possibilità di rilancio.
Proprio in questo contesto bisognerebbe lanciare grandi iniziative di opposizione al governo, insieme a tutti gli attori sociali, qualsiasi essi siano nel campo della sinistra, per mettere insieme un largo movimento di opposizione e proposta alternativa, che parla ai giovani, che cambia i punti di riferimento, che smette di predicare e comincia a praticare, ad attivarsi, a riempire piazze, a stampare volantini, a comunicare in maniera diversa.
Lo farà Leu? No, non lo farà, non ha la forza di rilanciare la propria teoria e prassi, gli attori di quel soggetto sono tutti quelli che hanno portato lentamente il Partito Democratico alla deriva, non ha credibilità politica, ma soprattutto, in Leu, in molti attendono la sconfitta di Renzi al Congresso per ricostruire l’alleanza con il PD.
Questo passaggio di ridefinizione della composizione del movimento passa dalla morte certificata dei soggetti attualmente in campo. Dalla morte certificata o dalla ricostruzione del proprio campo di azione, ridefinendo la semantica, il pezzo di popolo di riferimento, la teoria e la prassi. Nessuno ha deciso di incamminarsi su questo sentiero, in molti parlano a categorie che non esistono più, parlano un linguaggio che nessuno comprende (forse soltanto Pap ha compreso l’idea di movimento, nei limiti della propria azione che affronteremo in un altro approfondimento..) ed è proprio per questo motivo che la sinistra è destinata a sparire definitivamente senza riesumare.
L’opposizione al Governo Conte dovrebbe essere presa come occasione di ricostituzione di un popolo e di un fronte per prendere la scena, dettare l’agenda politica, svegliando i media dal torpore estivo, perché anche i giornalisti hanno bisogno di un’alternativa politica, per poter scrivere e narrare una visione differente, non possono inseguire a vita Salvini mentre pubblicizza i pescivendoli pugliesi e scatta selfie vergognosi.
Luca Mullanu
Mi è sfuggita la ripresa della sinistra in Europa. Dove? Mia ignoranza senza dubbio