Che Renzi volesse rottamare tutto, era chiaro da qualche anno, ma che arrivasse ad uno strappo con il sindacato più grande d’Italia, non era così scontato. Ed è così che fino al punto di non ritorno, il Presidente del Consiglio dice chiaramente quello che pensa sulla Cgil. E non lo spiega nella direzione del proprio partito, attraverso un comunicato stampa, una dichiarazione con una battuta appena uscito da Palazzo Chigi. No, lo fa in un video messaggio, quasi un discorso alla nazione per la sua ampiezza ideologica, che dura però pochi minuti. Il premier si confronta con i suoi, poi decide di non dettare nessun comunicato, piazza la telecamera e parla a ruota libera. Anche troppo, perché per la prima volta, un Presidente del Consiglio attacca fortemente i sindacati (e soprattutto il sindacato “amico”, ndr). L’accusa? Susanna Camusso aveva dichiarato che Renzi è come la Thatcher, che tutti ricordano per il pugno di ferro contro i sindacati e per le lunghe proteste dei minatori inglesi contro le politiche austere.
Il premier annuncia: “oggi la Cgil ha deciso di andare all’attacco del governo”, camicia bianca, quella del patto dei tortellini, “il segretario Camusso, ha detto che il governo ha in mente Margaret Thatcher quando si parla del lavoro. Ma quando si parla del lavoro noi non siamo impegnati in uno scontro del passato, ideologico. Noi siamo preoccupati non di Margaret Thatcher, ma di Marta, 28 anni, che non ha la possibilità di avere il diritto alla maternità perché in questi anni si sono fatti cittadini di serie A e di serie B”. “Noi quando pensiamo al mondo del lavoro non pensiamo a Margaret Thatcher”, ma “a quelli a cui non ha pensato nessuno in questi anni, che vivono di co.co.pro. e co.co.co e che sono condannati a un precariato a cui il sindacato ha contribuito preoccupandosi solo dei diritti di qualcuno e non di tutti”.
E qui la stoccata: “A quei sindacati che vogliono contestarci” io “chiedo: dove eravate in questi anni quando si è prodotta la più grande ingiustizia, tra chi il lavoro ce l’ha e chi no, tra chi ce l’ha a tempo indeterminato e chi precario” perché “si è pensato a difendere solo le battaglie ideologiche e non i problemi concreti della gente”.
Matteo Renzi parla a tutti, non solo al leader della Cgil, ma anche alla “vecchia guardia” interna del Pd. Avvisati anche quelli esterni: Fiom inclusa. Avvisa l’intero apparato dirigente che minaccia battaglia sull’Articolo 18 e che vuole scendere in piazza per difendere i diritti dei lavoratori. Il video messaggio arriva proprio all’indomani dell’ok alla legge delega da parte della Commissione Lavoro del Senato e alla vigilia dell’approdo in aula. Ma soprattutto, Renzi parla direttamente alla fronda interna del Pd, con i dissidenti che aumentano: non solo Mineo e civatiani, ci sono anche bersaniani, dalemiani, cuperliani e, la svolta, anche i giovani turchi (i quali erano i primi sostenitori del nuovo corso del PD, ndr).
“Non romperanno”, dice un parlamentare vicino al premier. Ma per Renzi la cosa non fa differenza. Dal governo cercheranno di lavorare ad una mediazione che però non tocchi i cardini della legge delega. Insomma: il contratto a tutele crescenti non arriverà a maturare la possibilità di reintegro in caso di licenziamento senza giusta causa. Che l’aria sia pesante lo fa intuire le parole di un senatore renziano: “Alle brutte, chi nel Pd non ci sta, farà la scissione”. E, alle brutte, comunque, c’è già il piano b: non si farà mancare il soccorso azzurro di Forza Italia, soprattutto dopo l’ultimo incontro tra Renzi e Berlusconi a Palazzo Chigi. Se le indiscrezioni sono queste, a confermare l’ipotesi è Delrio: “ll Parlamento è fatto apposta perché tutti possano contribuire. Certo non è uno scandalo se qualche deputato vota una nostra proposta, ma sono convinto che la nostra maggioranza sarà compatta”.
Luca Mullanu