Nonostante la prescrizione di New York, i trattati ONU ratificati e gli appelli delle comunità internazionali il Parlamento italiano ha annullato le modifiche da parte della Camera dei Deputati apportate al testo della legge sulla tortura riportandolo alla stesura approvata in data 5 marzo 2014 e diminuendo quindi le sanzioni previste.
Il testo approvato ieri dalla Commissione di Palazzo Madama prevede pene che vanno da 3 a 10 anni di carcere (e non più, come nella versione della Camera, da 4 a 10) per «chiunque con reiterate violenze e minacce gravi (nella versione dei deputati era diventata «con violenza o minaccia»), ovvero agendo con crudeltà, cagiona acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico (non più solo «sofferenza psicologica grave» perché «non accertabile a distanza di tempo» secondo i senatori della commissione) a una persona privata della libertà personale o affidata alla sua custodia, vigilanza, controllo, cura o assistenza, ovvero si trovi in condizioni di minorata difesa».
Se il reato è commesso da pubblico ufficiale resta l’aggravante come nel testo precedente, ma la pena massima scende da 15 a 12 anni. Nel caso sia stato commesso da uno straniero è ora possibile che venga rimpatriato in un altro Stato per essere sottoposto a tortura se ritenuto necessario ed esistono fondati motivi.
Il relatore del testo Enrico Buemi si è detto soddisfatto delle modifiche apportate, anche se ha dichiarato di aver proposto un reato specifico per pubblico ufficiale. Critiche da parte dei parlamentari di SEL secondo i quali il nuovo testo rischia di escludere situazioni come quelle verificatesi all’interno della scuola Diaz.
Se la Commissione di Palazzo Madama confermerà le modifiche approvate ieri, il testo ritornerà sotto esame dei Deputati favorendo un rimpallo tra Camera e Senato, verificatosi anche durante la scorsa legislatura. C’è il rischio, quindi, che la legge sul reato di tortura venga affossata e con essa l’evoluzione democratica del nostro Paese.
Vincenzo Nicoletti