Cosa hanno in comune un generale piemontese del 1861, Bagnoli, il bilancio di previsione comunale, uno sportello contro la diffamazione di Napoli e Taranto e Carrara? Apparentemente, nulla; auspicabilmente, tutto, per gli alfieri del movimento “demA”, la creatura politica del sindaco di Napoli Luigi De Magistris. Ogni voce del piccolo elenco appena citato rappresenta la fase di una battaglia politica che punta ad allargarsi dal territorio napoletano, per approdare finalmente sui lidi dell’elettorato nazionale.

Il filo rosso di un’operazione che ha preso ufficialmente il via nella scorsa primavera, durante le comunali napoletane, quando il comitato elettorale del sindaco uscente si costituì ufficialmente e per statuto in partito – pardon, movimento politico, si snoda attraverso alcuni concetti chiave: territorio, autonomia, talvolta rivoluzione e “ribellione”. Sono queste le parole d’ordine di un arrembaggio al consenso che non si pone limiti. Un tentativo di trovare posto nelle acque agitate di una politica nazionale bloccata dagli inciampi e dalle contraddizioni delle forze più antiche, come delle più giovani.

Senza andare troppo a ritroso, non è difficile collocare nella infinita questione Bagnoli il punto di svolta, nel segno della parole chiave appena definite, dell’azione politica di De Magistris. Il commissariamento di Governo dell’area ex Italsider, dopo il fallimento della partecipata comunale Bagnolifutura, è diventato in breve tempo il simbolo di quella che fu definita dal sindaco come una “espropriazione” di poteri attuata da Roma, asservita a interessi collaterali.

Atto, questo, tanto più insopportabile, perché i poteri “rubati” dovrebbero essere, secondo il sindaco, connaturali e inalienabili da una realtà territoriale, in quanto espressione della potestà di questa di decidere autonomamente del proprio destino. L’uso consapevole di un vocabolo come “espropriazione”, denso di significati legali ed emozionali, rimanda proprio ad un atto di spoliazione, di privazione forzata di potestà e prerogative, che costituiscono una sacrosanta e inviolabile proprietà di una comunità, imprescindibili per autogovernarsi e autodeterminarsi.

Bagnoli consiste così nell’emblema dell’intuizione politica obiettivamente più raffinata (anche se magari non del tutto originale) di De Magistris: in un momento di crisi di coscienza profonda dell’architettura politica occidentale, in cui gli Stati si ritirano dalla dimensione sovranazionale per rinchiudersi nelle proprie istanze sovraniste, anche i singoli territori, interni agli Stati stessi, devono fare lo stesso, caratterizzando la dialettica col potere centrale in termini competitivi ed autoaffermativi, piuttosto che solidaristici. Non è un caso, in questo senso, che il sindaco abbia promozionato iniziative congiunte con i suoi omologhi, per esempio, catalani. Il nuovo sovranismo territoriale appare, in questa prospettiva, la soluzione alle incapacità centrali di gestione sociale, prima ancora che economica.

Solo attraverso la restituzione al territorio di prerogative estirpate da un anacronistico centralismo dello Stato, rigettando, nei limiti del possibile, l’autorità di un Governo centrale che si permette di “espropriare”, appunto, la capacità di una città (che non è più entità meramente amministrativa, ma comunità, di intenti e di destini) di decidere per se stessa, si può restituire a quel territorio la dignità perduta in decenni di “oppressione”, vera o politicamente enfatizzata che sia.

Ecco perché, prima ancora di guardare al futuro, diventa vitale rivisitare il passato. Da qui, la revoca della cittadinanza onoraria al sanguinario Generale Cialdini, autore di massacri, nel 1861, contro i lealisti borbonici. E poco importa se l’Italia aveva già chiesto scusa, nel 2011, durante le celebrazioni dei 150 anni dell’Unità, per quei tristi fatti: quello che conta davvero è che sia la Città, il territorio, a disconoscere da sé l’onorabilità di un centocinquantennale generale piemontese, per esorcizzare, destoricizzandolo e decontestualizzandolo, il suo complesso di eterna “conquistata” e “posseduta” da parte di uno Stato con cui c’è spesso incomunicabilità, se non inimicizia.

La capacità di alzare la voce, prima ancora che la testa, assurge a simbolo politico della rinascita napoletana, che da operazione in eterno divenire punta definitivamente a farsi futuro concreto. Senza soldi, però, De Magistruis sa che non si va da nessuna parte. Ecco perché la questione delle risorse economiche a disposizione dell’amministrazione comunale diventa centrale. Tuttavia, l’abilità del sindaco è stata quella di trasformare una questione di politica finanziaria in una disfida etica, in cui è in gioco il futuro e, ancora una volta, la dignità, l’autonomia e l’autodeterminazione della Città e del territorio.

L’interminabile Consiglio comunale, tra il 20 e il 21 aprile, ha approvato un bilancio “lacrime e sangue”, ma De Magistris ha messo subito in chiaro che, in realtà, chi gli ha legato le mani, non volendo contribuire al finanziamento della rinascita napoletana, ma anzi tentando ancora una volta di castrarla, è stato il Governo di Roma. Il rapporto problematico con Palazzo Chigi ritorna spesso al centro del discorso politico del sindaco: accade per il bilancio, accade (sempre) per Bagnoli, accade anche e soprattutto per la recente questione del debito da 100 milioni di euro con il consorzio CR8 per la il post terremoto dell’80, che Napoli rifiuta di pagare perché «per la quasi totalità è un debito del Governo».

De Magistris, per riassumere la dialettica costante e non sempre pacifica con il potere centrale, usa un’immagine obiettivamente efficace e d’impatto, servendosi di un detto napoletano che esemplifica il caso di una sperequazione voluta dall’alto: «a chi figli e a chi figliastri». Quest’espressione indica il tradimento del rapporto paternalistico che lega lo Stato al territorio (una visione naturalmente insita nell’ideale politico meridionale), che il sindaco intende evidenziare: è stato violato il patto cooperativo tra centro e periferia (come Napoli ritiene di essere stata storicamente trattata, da figliastra emarginata, cioè, rispetto agli altri rampolli regionali naturalmente preferiti). È questo che ha posto Napoli, ma il discorso viene spesso allargato all’intero Mezzogiorno, in difficoltà, non tanto dunque le colpe proprie e le proprie immaturità o inadeguatezze.

Ecco che dunque anche il caso del pignoramento dei 100 milioni ai danni del Comune si inserisce nel solco di questo “tradimento politico”. De Magistris, parlando della difficoltà di far quadrare i conti alla luce anche della vicenda CR8, alimenta «il legittimo sospetto che in questi mesi qualcuno ha lavorato per far sì che il bilancio non lo approvassimo. Pur di buttare a terra un avversario politico, si sarebbe sacrificata una città»: attraverso l’arma finanziaria, insomma, si vuole chiudere la bocca a chi denuncia un bieco inganno.

Ai colpi bassi di uno Stato-padre che non vuole abdicare al ruolo di padrone, si deve rispondere con tutte le armi; non solo con quelle messe a disposizione della legge, che in quanto istituzione è sottoposta spesso e volentieri agli arbitrii dei «poteri forti», ma anche e soprattutto con quelle che esulano dalla logica amministrativa, e che abbracciano una dimensione più genuinamente di battaglia politica di comunità. Si promuove quindi, ad esempio, un Consiglio Comunale in seduta a Roma, alle pendici del Palazzo (Chigi), «non per (…) andare con il cappello in mano, ma per farci portavoce di tante altre città che sono in piano di riequilibrio», ma non solo.

Il riferimento corre a quella “disobbedienza civile” che pure si è sentita invocare in Consiglio Comunale durante la sessione di bilancio; va inoltre alla protesta incoraggiata contro il lassismo del Governo a prendere posizione contro le provocazioni degli agenti politici “nordisti” (in primis, il leghista Salvini), in appoggio alle rivendicazioni legittime di un'”identità terrona”, che esorcizzano il complesso di inferiorità che per decenni si è tentato di inculcare nel Mezzogiorno, agitando l’emblema del sottosviluppo economico e culturale. Il territorio, secondo De Magistris, diventa “ribelle” al sottomesso stereotipo amministrativo, coagulandosi nella “città” come spazio di aggregazione e di promozione di idee benefiche.

Questa tensione al Bene locale, che non necessariamente, lo si ripete, si attua attraverso le Leggi, abiti spesso stretti cuciti da altri, per costringere, piuttosto che per far sentire a proprio agio chi li indossa, diventa quindi prerogativa di una dimensione morale della lotta politica. «Napoli si sta riscattando con le forze dei napoletani, che ha mantenuto autonomia, non siamo caduti nel compromesso morale e non abbiamo tradito gli elettori», tuona ancora De Magistris.

La moralizzazione del dibattito politico è dunque argomento forte. Talmente forte che chiunque, secondo la Giunta napoletana, è tenuto a dare il proprio contributo in questo senso: il primo passo è diventato, quindi, innanzitutto quello di depurare le coscienze da un certo modo di parlare di Napoli e dei napoletani, un modo che ne compromette la dignità e ne frustra le ambizioni di rinascita. Coerentemente, è arrivata l’istituzione di uno sportello online gestito dal Comune, che si incarica di raccogliere le segnalazioni delle diffamazioni dell’identità e della dignità napoletane, per estirpare dal dibattito su Napoli chi ne parla male. Lasciando da parte tutte le implicazioni legali e i giudizi di valore sull’operazione, non c’è dubbio che un’iniziativa del genere abbia il valore politico di stringere ulteriormente la comunità al proprio territorio, difendendolo da quella che viene additata come violenza gratuita e ingiustificata.

Insomma, De Magistris ha fatto di Napoli il nucleo, l’esempio di un progetto politico che sempre più deve identificarsi con il territorio amministrato. La partecipazione del cittadino in quanto membro di una comunità che è prima di tutto comunità di interessi, e poi di diritti civili e politici, compatta la realtà locale e pretende di renderla impermeabile alle “aggressioni” esterne, che sono frutto di negatività, immoralità e legalizzazione della sottomissione amministrativa, in cui non c’è spazio per l’autonomia.

Il discorso non rischia di diventare “eversivo” perché, anche quando invoca la disobbedienza civile, lo fa non solo a vantaggio di una singola realtà, quella della malandata “capitale” del Mezzogiorno terrone, ma a beneficio di una Nazione intera, una Nazione che non è più uno Stato-imperatore, ma compendio e mosaico di territori in attesa di far sentire la propria voce. E, in quanto tale, diventa capace di riscuotere consenso potenzialmente ad ogni latitudine.

Sta qui la sintesi delle capacità espansive del progetto “demA”. Sta nell’abilità politica, cioè, di propagandare la messa in atto del modello portatore del Bene comune anche in altri contesti, distanti da quelli naturalmente connessi a Napoli ed ai suoi problemi specifici. È da queste premesse che prende le mosse la formazione di liste griffate “demA” in appoggio ai candidati di liste civiche a Taranto e Carrara, annunciata ufficialmente il 20 aprile. Un intervento, quello fuori dal territorio napoletano, che a questo punto può ben assumere contorni messianici e salvifici, come spiega l’altro demiurgo di questo movimento a conduzione familiare, Claudio De Magistris, fratello del sindaco: «abbiamo ricevuto varie richieste dai territori in questi mesi e abbiamo deciso di sostenere candidati civici che sono fortemente impegnati in lotte a difesa dei territori e dei lavoratori».

Esportare “democrazia e autonomia” in altri “territori” d’Italia, insegnando come si fa a riscattare se stessi: questa sembra la nuova frontiera del De Magistris pensiero. La scalata al consenso nazionale, nel caotico contesto politico attuale, in cui mancano ancora solidi riferimenti identitari (che invece il “territorio” interpreta ed esalta) non sembra più utopia.

Ludovico Maremonti

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.