Sinodo sì, sinodo no, sinodo boh. Gli ultimi giorni a Roma raccontano di guerre calde e fredde a colpi di comunicati, lettere, smentite e dichiarazioni a mezzo stampa dentro e fuori le mura leonine. Ma andiamo con ordine.
Nel 1965, regnante Paolo VI, fu istituito il Sinodo dei vescovi, con l’intenzione di mantenere uno spirito di collaborazione con il Papa nell’esaminare questioni di rilievo per la Chiesa, e si riunisce periodicamente ogni 3-4 anni. Il sinodo attualmente in svolgimento fu organizzato da Benedetto XVI, nel 2012, con il preciso intento di riaffermare la centralità della famiglia tradizionale, cioè eterosessuale, con figli e cattolica.
Nel 2012, tuttavia, il Vaticano fu scosso dallo scandalo Vatileaks riguardante lo IOR (e non solo) e l’allora Segretario di Stato Tarcisio Bertone.
Come sappiamo, nel 2013 Benedetto si dimise, e gli successe Jorge Mario Bergoglio. Fu lui a convocare per il 2014 un sinodo straordinario sulle “sfide pastorali della famiglia”, che elaborò un documento, la relatio synodi, sul quale si basa l’instrumentum, cioè il testo di base, del sinodo ordinario del 2015.
Quello che non tutti sanno è che nel marzo 2012 gli USA inserirono il Vaticano nella lista degli stati monitorati per il riciclaggio. A ciò si aggiunge, tra gennaio e febbraio 2013, la sospensione dello IOR dal sistema di transazioni finanziarie SWIFT: la sospensione fu curiosamente revocata il giorno successivo alle dimissioni di Ratzinger. Si vocifera che il ricatto finanziario sia stato tra i fattori determinanti per la rinuncia di Benedetto XVI al magistero petrino, allo stesso modo di come la crisi dello spread forzò le dimissioni di Berlusconi nel 2011.
Cosa successe esattamente allora non è dato saperlo: bisogna affidarsi all’intuizione ed alla lettura di fatti e circostanze, esattamente come accade in questi giorni di sinodo.
Partiamo dal fatto che è stata resa pubblica una lettera – attribuita a 13 cardinali, dei quali attualmente 3 (Erdő, Scola e Vingt-Trois) hanno smentito – presentata a Bergoglio il 5 ottobre, giorno dell’apertura dei lavori del Sinodo. Lo stesso relatore generale del Sinodo, l’ungherese Péter Erdő, ha aperto con una relazione che ha suscitato clamore tra i prelati. Le avvisaglie delle divisioni sono certificate da monsignor Bruno Forte, che apertamente sostiene come non ci siano “due o più partiti” tra i vescovi. A margine va detto che, se Erdő viene associato alla fazione più legata alla Dottrina, Forte è uno degli esponenti maggiormente legati all’evoluzione della Chiesa in base ai mutati orientamenti della società moderna; in breve, Erdő sarebbe un tradizionalista e Forte un modernista.
Certamente non passa nemmeno inaspettata la battaglia tra i vaticanisti Sandro Magister di Chiesa-Espresso, bertoniano di lunga data, e Andrea Tornielli di Vatican Insider-La Stampa, banderuola che voci insistenti e pressanti danno come anelante al ruolo di portavoce della Santa Sede, mentre i media ufficiali di Vaticano e CEI, L’Osservatore Romano ed Avvenire, non perdono giorno per ricordare al mondo che non ci sono divisioni, regna l’armonia e vengono smentiti anche da cardinali bergogliani come Wuerl, allora è chiaro che qualcosa non va.
Se addirittura Bergoglio, nell’udienza di mercoledì 14 in piazza San Pietro, ha chiesto scusa per gli scandali di Roma e del Vaticano, implicando un coinvolgimento della Domus Santa Martæ sia nel processo mediatico a Marino sia nelle fratture in seno al Sinodo, vuol dire che quel qualcosa che non va è qualcosa di molto grosso.
Cosa aspettarci, dunque, da questi ultimi giorni di lavori e scontri del Sinodo? Voci non confermate di ambienti vaticani ci raccontano che internamente al sinodo regge la Dottrina, ma le questioni che formeranno un precedente saranno quelle relative alla “nuova prassi” dei lavori sinodali inaugurata da Bergoglio sia per lo svolgimento che per le composizioni delle commissioni. Si riportano le parole testuali che sarebbero state pronunciate dal cardinale tedesco Walter Kasper: «Sono convinto a chiare effusioni che i sinodali saranno sodali di divorziati e gay».
Già, la Germania: in terra mitteleuropea gli appartenenti a religione pagano una tassa tra l’8 ed il 10% dello stipendio, che viene girata alla confessione per il proprio mantenimento, come ci insegna il caso recente di Luca Toni, ed ogni anno sempre più persone abbandonano la confessione pur di non pagare la tassa. I prelati tedeschi punterebbero dunque, forti anche dell’appoggio di alcuni prelati sudamericani, ad estendere sempre più la possibilità di piena comunione con la Chiesa anche a coloro che dottrinalmente ne sarebbero esclusi, per garantirsi svariati milioni di euro in più ogni anno.
Ecco dunque su cosa si sta giocando il Sinodo: sull’ammorbidire la pratica per questioni di denaro. Curioso che ciò avvenga sotto il pontificato “pauperista” di Bergoglio, curioso che il nodo della questione risieda in questioni puramente materiali e terrene, che non dovrebbero riguardare chi avrebbe il compito di occuparsi della cura spirituale delle anime, curioso che la nuova “vendita delle indulgenze” arrivi dalla stessa terra di quel Lutero che l’aveva tanto criticata.
Simone Moricca