Gli italiani sono stanchi, così come i loro degni compari europei. Temono tutti per il proprio futuro, per i soldi che non sono mai abbastanza, per quella serenità che non accompagna più le loro giornate.
Forse è proprio per questo che la task force Commissione UE/BEI si è ritrovata ben pronti sulla scrivania 1800 dossier da finanziare coi 300 miliardi del Piano Investimenti che la squadra di Jean-Claude Juncker intende varare martedì. Di sicuro nessuno desidera un destino speculare a quello di Cipro in cui il salvataggio non ha funzionato ed ora pagano prima gli azionisti (con aumenti di capitale mostruosi) e poi gli obbligazionisti (con una rinegoziazione del debito).
“O noi ci siamo spiegati male oppure loro non hanno capito come funziona il Piano” è il pensiero che aleggia tra i nostri poveri rappresentanti, che si sono imbattuti in pile e montagne di progetti troppo spesso inconcludenti. Solo 396 su 1110 miliardi di documenti riguardano il 2015-17 (date interessate per il progetto di riforma).
Dalla Germania le idee si sono rivelate tutto fumo e niente arrosto, mentre da Roma la maggior parte dei 400 progetti inviati si son rivelati “fuori tema” perché riguardanti anche tratte locali invece delle ben più solide transeuropee. Ancora una volta l’Italia ha speso tempo prezioso per proposte non eleggibili.
Tutti i piani devono essere corretti e revisionati, si spera anche ben compresi, quindi al gabinetto aspetta un enorme lavoro. La priorità spetta al pacchetto dei Piani investimenti e a questo pro Juncker conta di migliorare la situazione politica entro l’estate, in modo da creare un effetto domino che beneficerà anche l’economia. Il tutto si basa sul dar una spinta alla domanda.
“La bassa attività erode il potenziale”, si legge nel documento riservato della Task Force, “Accelerare gli investimenti è indispensabile per la ripresa, ma anche per garantirtici un futuro di crescita e occupazione”. I socialisti UE sono quindi interessati a queste dinamiche. La proposta costa di un piano di investimenti europeo da complessivi 800 miliardi di euro per il periodo 2015-2020 ed è stata presentata dal capogruppo S&D, Gianni Pittella. È prevista la creazione di un fondo di investimento con 100 miliardi di capitale versato da denaro pubblico, le cui quote dovrebbero essere escluse dal calcolo del deficit, con una leva finanziaria di altri 300 mld ai quali se ne aggiungerebbero 100 di investimenti privati.
I ministri EcoFin il 9 dicembre e poi il vertice europeo di Bruxelles del 18-19 avranno in questa scena un arduo compito. Da martedì, infatti, la task force selezionerà i candidati per il sostegno dell’UE, scelta che prevede discrezione e presa di coscienza perché dovranno far la differenza in un tempo limite di tre anni e in più contribuire in una misura compresa fra 1 e 3 miliardi. A tal fine i privilegiati saranno coloro dotati di un perfetto settore di innovazione, energia, ambiente, trasporti o sociale.
I problemi tuttavia non mancano mai: non solo il piano è già arduo per il suo ammontare contenutistico, ma in più a mancare sono, come sempre, i soldi. La soluzione sarebbe quella di cedere queste angustie alla BEI e di recuperare i fondi dal bilancio UE, anche se quest’ultimo non è particolarmente sostanzioso. La metodologia sarà poi decisa in Consiglio e in Parlamento. C’è di sicuro la possibilità di andar per le lunghe. Con la costanza si può tutto, si deve solo sperare che i privati non ci voltino le spalle.
Alessia Sicuro