Tra le strade di San’a’, capitale dello Yemen, ormai non si conosce più il significato di pace. Dopo le varie tensioni dovute alle guerre presidenziali tra la guardia presidenziale yemenita e le milizie sciite Huti, e le relative rivolte interne, si è evidenziata in maniera impressionante la debolezza del governo.
Un nuovo problema sorge se si considera lo Yemen come uno stato sì poverissimo, ma anche alla base del commercio petrolifero internazionale. Infatti gli sciiti di Ansarullah hanno assunto il controllo dei principali porti, andando contro le milizie qaediste ed alleandosi con tribù sunnite e sciite del nord, facendo passare lo Yemen nelle mani dei ribelli che non permettono al governo di organizzare serenamente il proprio lavoro.
Il 22 gennaio 2015 c’è stata la svolta. Il governo si dimette, lasciando lo Yemen ai ribelli e avviandolo così all’anarchia. La situazione ora è difficile. Il parlamento inizialmente non aveva intenzione di accettare ufficialmente le dimissioni di Abed Rabbo Monsour Hadi, alleato degli Stati Uniti nella lotta contro al Qaeda. Per due giorni agli arresti domiciliari, costretto dai ribelli Houthi che hanno circondato la sua abitazione, Hadi ha però trovato un modo per riprendersi uno sprazzo di libertà e, accordandosi con i ribelli ha ottenuto il loro ritiro dal palazzo presidenziale e da alcuni punti strategici della città, in cambio di qualche concessione.
I ribelli non hanno, però, rispettato il patto fino in fondo e come risultato si è ottenuto la dimissione del governo. Gli Houthi infatti sembrano non poter più agire indipendentemente dopo la guerra di ben otto anni (2004-2012) con l’ex presidente Saleh, anch’egli zaidita, e sono strumentalizzati dall’ex raìs deposto dalla popolazione due anni fa. Uno dei primi ad abbandonare il posto di lavoro è stato il tecnico Khaled Bahah, insediato dopo un accordo con gli insorti probabilmente mediato dall’Onu, mentre il primo ministro yemenita ha spiegato di essersi dimesso per “evitare di far parte di quello che sta succedendo e succederà in futuro”.
La situazione è andata gradualmente a degenerare e in seguito alle dimissioni al parlamento di Hadi lo stato non ha una leadership legittimata. “Il governo da me guidato ha operato in circostanze complicate, non sarò trascinato in un abisso di politiche non costruttive che non si basano su alcuna legge” scrive Bahah su facebook. Ora la situazione è la seguente: la capitale San’a’ è occupata dai ribelli Houthi che vertono dell’appoggio iraniano, nel sud gli scissionisti insistono per distaccarsi dal governo centale e nel sud-est al Qaeda desidera espandersi. Quest’ultima ala yemenita, in particolare, ha rivendicato l’ormai famosissimo attentato di Parigi alla redazione satirica Charlie Hebdo per diffondere con più foga la propria immagine.
Lo Yemen però resta uno dei Paesi più poveri tra quelli arabi, che esporta una quantità di risorse petrolifere fin troppo limitate rispetto al quadro generale. Le tristi vicissitudini che lo stanno vedendo protagonista complicano ancora di più il suo bilancio economico. Nel sud del paese il leader dei secessionisti, Nasser al Nouba ha proclamato la zona indipendente alla televisione di al Jazeera e, proprio qui, le autorità hanno chiuso l’aeroporto civile ed il porto commerciale “in segno di protesta contro il golpe”. Il futuro del sud ora è incerto e soprattutto basato sul timore di un aggravarsi delle lotte intestine per l’aggregazione di qaedisti e jihadisti del centro e dell’est del Paese.
Alessia Sicuro