A Vienna hanno deciso di portarsi a casa il pallone. Sì, perché è così che, da bambini, si comportavano i nostri amici più capricciosi, o magari anche noi stessi quando eravamo stufi di rispettare quelle regole condivise che non offrivano la possibilità di fare ciò che ci pareva.
Oggi, nella squadra dell’Unione Europea, fatta di 28 giocatori che ogni tanto litigano ma alla fine cercano sempre di trovare una soluzione a qualsiasi problema, c’è un nuovo prepotente, che sventola minacce sotto il naso dei propri sodali – tra i quali, per la cronaca, l’Italia – andando bellamente contro la strategia comune dell’Europa unita e in spregio di qualunque spirito umanitario.
L’emergenza migranti rappresenta il casus belli di tutta questa vicenda, e la chiusura delle frontiere austriache la nuova provocazione dei nostri vicini di casa, che hanno dichiarato, per tramite del loro ministro della Difesa, Hans Peter Doskozil, di essere pronti a serrare i confini «in caso estremo».
Se fossimo in un’aula di tribunale, al politico austriaco toccherebbe spiegare cosa intende per caso estremo, perché se il riferimento è all’aumento dei migranti qualcuno dovrebbe spiegargli che in Europa ci sono Stati che fanno di più e non si sono (quasi) mai lamentati.
Ma le dichiarazioni ad effetto non sono finite, e da Vienna annunciano di voler intensificare i controlli di confine, chiedendo al nostro Paese di poter operare anche in territorio italiano, come se gli sforzi della polizia di frontiera non siano abbastanza per la salvaguardia dell’equilibrio e della sicurezza continentale.
L’obiettivo di Doskozil è quello di evitare che l’Austria finisca con il costituire una sorta di sala d’aspetto dei migranti diretti in Germania, un altro Stato che potrebbe decidere di chiudere i propri confini qualora dall’Italia dovesse arrivare un numero eccessivo di profughi.
L’uso del condizionale fa capire che ci troviamo ancora nel terreno delle ipotesi, e che probabilmente le dichiarazioni degli ultimi giorni sono servite solo a raccogliere maggiori consensi fra la popolazione austriaca.
Tuttavia, di fronte a prese di posizione così nette, è opportuno mettere in chiaro alcuni punti fermi nella politica comunitaria, come la necessità che gli Stati decidano insieme le politiche UE, evitando iniziative isolate e umorali.
Sul punto, il Commissario europeo per le migrazioni, gli affari interni e la cittadinanza, Dimitris Avramopoulos ha avvertito che questo tipo di proclami rappresentano «un attentato alla libera circolazione», e «mettono a rischio Schengen». Parole che sembrano aver sortito un primo effetto, dal momento che il presidente austriaco, Heinz Fisher, ha subito chiarito che «tra Italia e Austria la circolazione delle persone e delle merci continuerà ad avvenire come disciplinato dai principi europei tra due paesi membri dell’UE».
Come già osservato, le esternazioni di cui si è dato conto potrebbero rientrare nella normale categoria delle schermaglie politiche fra diverse fazioni, come tali – forse – da non prendere troppo sul serio.
Il problema è che spesso ci si dimentica che l’oggetto del contendere sono milioni di disperati, trattatati come pacchi postali tra un confine e l’altro dei Paesi membri dell’UE, incapaci non tanto di elaborare una politica comune, quanto di metterla in pratica senza fermarsi continuamente a discutere come bambini capricciosi.
Carlo Rombolà